lunedì 10 aprile 2017

Andiamo a raddoppiare!

Il paradossale teorema di Banach-Tarski


Nel 1924, Stefan Banach e Alfred Tarski pubblicarono Sulla decomposizione di insiemi di punti in parti rispettivamente congruenti, un articolo in cui i due matematici dimostravano che si può suddividere una sfera piena (una palla) nello spazio tridimensionale (*) in 5 parti, in modo che sia possibile ricomporre con questi pezzi due sfere entrambe perfettamente identiche alla sfera iniziale prima della suddivisione. La ricomposizione utilizza solo delle isometrie, cioè delle traslazioni e delle rotazioni. In particolare, i pezzi non sono mai deformati. Ciò sfida il senso comune, ma talvolta la matematica lo fa. 
Una palla a tre dimensioni euclidee è equiscomponibile a due copie di se stessa. 
Come indica il nome, si tratta di un teorema: è una proprietà matematica che è stata dimostrata con tutti i crismi. Esso non può essere contraddetto, pur sembrando a prima vista paradossale perché mette in discussione una realtà del nostro mondo fisico: quando si taglia un oggetto in diversi pezzi, il volume dell’oggetto iniziale dev’essere assolutamente uguale alla somma dei volumi dei suoi pezzi. Nel mondo matematico questa proprietà è anch’essa assolutamente vera, con l’unica condizione che si possa attribuire a questi pezzi un volume. Questa idea è difficile da definire, ma quando lo si fa con precisione, ci si rende conto che certi oggetti matematici semplicemente non possono essere misurati.

Questa proprietà sfida molto l’intuizione perché al cuore della sua dimostrazione si nascondono due dettagli un po’ perturbanti. Il primo è il legame con i paradossi legati all’infinito, perché si utilizza più volte il paradosso dell’Hotel di Hilbert, cioè quello per cui due insiemi infiniti che sembrano diversi a prima vista possono in realtà essere equivalenti. Il secondo punto, che disturba ancor di più, è la comparsa nella dimostrazione dell’assioma più controverso della teoria degli insiemi: l’assioma della scelta, al quale si ricorre talvolta nelle dimostrazioni facendo storcere il naso a molti. 

La suddivisione in parti dell’enunciato è perfettamente definita dal punto di vista matematico, ma sfortunatamente è di impossibile realizzazione pratica. Dispiace, ma nella realtà fisica così come la conosciamo non si possono duplicare gli oggetti tagliandoli a pezzi. 

A che cosa assomigliano esattamente questi pezzi? Costruiamolo per vederlo! Ci occorre innanzitutto una sfera, poi due assi di rotazione su questa sfera. Prendiamo ad esempio quello che permette una rotazione Est-Ovest e viceversa, e quello che permette le rotazioni verso Nord o verso Sud. 



Oltre a questi assi di rotazione, ci serve un angolo di rotazione. Si può scegliere l’angolo che si vuole, ma occorre che sia irrazionale, in modo che sia impossibile che la sfera ritorni nella sua posizione iniziale dopo una o più rotazioni attorno a uno o all’altro dei due assi, Un angolo di 90° non è per esempio accettabile, perché la successione di 4 rotazioni riporterebbe la sfera nella sua posizione iniziale. Questo problema non si pone se invece se si prende un angolo irrazionale, come √2°. La serie di n rotazioni di quest’angolo non porterà mai la sfera nelle condizioni di partenza. Ciò succede anche con qualsiasi altro angolo irrazionale, come ad esempio ln(105)°. 

Abbiamo bisogno di tutto ciò per attribuire a ciascun punto della superficie della sfera un indirizzo. Abbiamo anche bisogno di un punto d’origine, pure questo a piacere: lo chiamiamo A. 

Da questo punto possiamo giungere a 4 altri punti, a seconda che si faccia una rotazione dell’angolo scelto verso il nord, il sud, l’est oppure l’ovest. Ciascun punto dà accesso a 3 altri punti, e così di seguito. Abbiamo in questa maniera accesso a un certo gruppo di punti, che si potranno rappresentare con il loro indirizzo, cioè la successione di rotazioni da seguire per finire sulla loro posizione partendo dall’origine. Per esempio, l’indirizzo NNOS corrisponde a un punto ottenuto mediante una rotazione della sfera verso nord, poi ancora a nord, poi verso ovest, infine verso sud. Anche se è composto dalle stesse lettere, l’indirizzo SONN corrisponde a un altro punto, che si ottiene ruotando la sfera verso sud, poi l’ovest, il nord e ancora il nord. Bisogna tuttavia fare attenzione, perché certi indirizzi non sono validi, quando si succedono due rotazioni opposte l’una all’altra. Per esempio, l’indirizzo SNON non è valido, perché può essere semplificato in ON, dato che le rotazioni successive verso sud e verso nord si annullano reciprocamente. 



Alla fine, l’insieme di punti accessibili per rotazioni a partire dall’origine A possiede un indirizzo. Classifichiamo ora tutti questi punti in 4 insiemi: il primo è composto dai punti il cui indirizzo termina per N, il secondo dove l’indirizzo termina per S, il. terzo contiene i punti con indirizzo che termina per O e l’ultimo in cui termina per E. Resta il punto di origine A, che mettiamo da solo in un quinto insieme. 

Guardiamo più da vicino l’insieme numero 1, quello dei punti il cui indirizzo termina per N. Poiché si tratta di indirizzi semplificati, non vi si potrà mai trovare una penultima lettera uguale a S. 

Che cosa succede se si ruota questo insieme verso sud? Ciò aggiunge una S a ciascuno dei punti che vi si trovano. Siccome tutti gli indirizzi terminavano per N, ora sono semplificati. Si ottengono allora degli indirizzi che terminano per O, per E, per N, ma mai per S. Da notare che vi si ritrova anche il punto d’origine, ottenuto per semplificazione del punto di indirizzo N. In breve: dopo una rotazione verso sud, l’insieme 1 è composto ora dai punti usciti dagli insiemi 1, 3, 4 e 5. Si può dunque ricostruire la sfera iniziale a partire da due soli pezzi: l’insieme 2 e l’insieme 1 ruotato verso sud. 

Si può fare la stessa cosa prendendo l’insieme 3 e girando l’insieme 4, ottenendo una seconda versione della sfera. 

Con queste operazioni abbiamo suddiviso la sfera in 5 parti. Gli insiemi 1 e 2 possono formare una prima copia della sfera iniziale, mentre gli insiemi 3 e 4 formano una seconda copia. Abbiamo trasformato una sfera in due sfere identiche in ogni punto alla prima, tutto con semplici operazioni di suddivisione. Questo è l’argomento chiave che fa funzionare il teorema di Banach-Tarski. 



Restano ancora molti dettagli. C’è un quinto pezzo, composto solamente dal punto d’origine A. Si può eliminarlo, ma bisogna suddividere gli insiemi 1 e 2. Ciò che facciamo è spostare dal primo al secondo insieme tutti i punti il cui indirizzo è il simbolo N ripetuto una o più volte. Si aggiunge così l’origine all’insieme 2. Così si può essere sicuri che dopo una rotazione verso sud, questo nuovo insieme diventa l’unione degli insiemi 1, 3 e 4, di cui il complementare è proprio il nuovo insieme 2.

Abbiamo ora suddiviso la sfera in 4 parti che, opportunamente risistemate, formano due copie identiche di questa sfera. La dimostrazione appena fatta ricorda la storia dell’hotel di Hilbert, quando si è riusciti a far stare un numero infinito di clienti in un hotel infinito già pieno. Ci sono in effetti tanti punti in un insieme infinito che in due copie dello stesso insieme. 

Malgrado tutto, la prova appena fatta non è del tutto soddisfacente, perché non è stata suddivisa tutta la sfera, ma un sottoinsieme di questa, quello dei punti accessibili a partire da A attraverso una serie di rotazioni. Questi punti non sono in quantità numerabile, anche se resta ancora una quantità infinita innumerabile di punti inaccessibili. 

Non è così grave. Scegliamo uno dei punti inaccessibili e scegliamolo come il nuovo punto d’origine, diciamo B. Questo dà accesso a un numero infinito di nuovi punti. Con lo stesso sistema di indirizzi, si può aggiungere nella parte 1 tutti i punti usciti da B con indirizzo che termina per N, nella parte 2 quelli che terminano per S, è così via, senza dimenticare la piccola modifica che permette di aggiungere il punto d’origine B nell’insieme 2. Come in precedenza, questi quattro pezzi permettono di riformare due sfere. 

Non è ancora sufficiente. I quattro insiemi contengono sempre un numero infinito numerabile di punti non accessibili sulla sfera. Si può allora proseguire la costruzione scegliendo sempre dei punti, fino a che ciascuno dei punti della sfera appartiene a uno dei 4 pezzi. Per procedere a una tale operazione, non si potrà fare a meno di utilizzare l’assioma della scelta. È quindi in questo momento che si passa dal suo lato oscuro. Fin qui i pezzi erano infiniti numerabili, dunque di misura zero. Ora che è stato utilizzato l’assioma della scelta ci si ritrova con 4 pezzi che permettono di ricostruire due sfere, ma che non possiedono alcuna misura. È perciò possibile che associandoli a due a due essi formino dei nuovi pezzi di misura più grande. 

Il paradosso di Banach-Tarski non parla di una sfera vuota, ma di solidi pieni. Per ottenere una suddivisone soddisfacente, basta prendere non più dei punti sulla superficie della sfera, ma dei raggi della palla. Si ottiene allora una suddivisione del solido in quattro pezzi che permettono di ricostruirne due esemplari identici. 

Per quanto riguarda il quinto pezzo, rappresentato dal centro della sfera, è possibile procedere passo dopo passo come si è fatto in precedenza sulla superficie. Per farlo consideriamo un cerchio all’interno della sfera che passi per il centro e ancora un angolo irrazionale, in modo che sia impossibile tornare al punto di partenza. Procediamo come si sono assegnate le stanze nell’Hotel di Hilbert. Consideriamo proprio l’insieme dei punti del cerchio ottenuto dal punto mancante applicando una serie di rotazioni. Questo insieme è infinito, e non esiste un ultimo punto. Facendo ruotare questo insieme per l’angolo irrazionale scelto, il buco presente al centro della palla sarà riempito, senza che si sia formato alcun altro buco. 

È quindi quest’ultimo insieme di punti che forma il quinto pezzo della paradossale suddivisione di Banach e Tarski. 



Tralasciando qualche dettaglio, questa dimostrazione rappresenta un mezzo matematico e perfettamente definito di duplicare delle sfere piene. Essa può essere utilizzata per altri oggetti solidi, anche non è possibile dire in quante parti essi andranno suddivisi. Ragionando analogamente, si può dimostrare che è possibile suddividere una sfera piccola (ad es. una pallina da golf) in modo tale che i pezzi ottenuti, una volta assemblati, possano ricomporsi in una sfera più grande, magari delle dimensioni di Giove! 

Alla fine di tutto ciò, si può essere tentati di rifiutare completamente l’assioma della scelta, che mette talmente in crisi l’intuizione che ci si può fare degli oggetti matematici. Numerose discussioni hanno avuto luogo su questo argomento tra i matematici all’inizio del XX secolo e hanno dato vita a diverse correnti di filosofia matematica. Possiamo citare ad esempio l’intuizionismo, che rifiuta tutti gli oggetti matematici che non sono costruiti precedentemente in modo esplicito. 

Un atteggiamento che si deve evitare di fronte a tale paradosso è domandarsi se esso sia contraddittorio. Certo, sorprende l’intuizione, ma esso non mette in discussione alcun altro teorema. Infatti, ciò è stato dimostrato nel 1938 da Kurt Gödel, che ha provato che se gli assiomi della teoria ZF non sono contraddittori vicendevolmente, allora l’aggiunta dell’assioma della scelta non vi introduce alcuna contraddizione. Non ci sono perciò argomenti puramente matematici che autorizzano a rifiutare questo assioma. Diciamo che anche la negazione dell’assioma della scelta non comporta l’apparizione di contraddizioni nella teoria ZF. Si può perciò benissimo vivere in un mondo matematico dove le scelte sono impossibili… 

Ciò non impedisce che, ancora oggi, l’utilizzo dell’assioma della scelta da parte dei matematici resta sempre soggetto a cautela. Conviene preferire le dimostrazioni che non lo utilizzano e, se esso sembra inevitabile, indicare esplicitamente al lettori dove stanno per essere condotti. Più di cent’anni dopo la sua prima formulazione da parte di Zermelo, bisogna constatare che l’assioma della scelta e le sue conseguenze restano un terreno insidioso. 

In realtà quella di Banach-Tarski era una provocazione che voleva dimostrare le conseguenze paradossali e controintuive dell’assioma della scelta. Finì che gli fecero pubblicità, un po’ come sarebbe successo al gatto di Schrödinger, pensato per contestare la casualità nella meccanica quantistica e diventato uno dei suoi meme più noti. In ogni caso, i due matematici polacchi un risultato importante lo raggiunsero, e cioè sottolineare la necessità di definire scrupolosamente ciò che è misurabile da ciò che non lo è. Come tutti i paradossi, quello della duplicazione della sfera possiede anche delle ricadute filosofiche sul senso reale che si attribuisce agli oggetti matematici, ma questa è un’altra storia. 

*È impossibile duplicare un disco (dimensione 2) o un segmento (dimensione 1). 

Fonte: 
Choux romanesco, vache qui rit et intégrales curvilignes : Deux (deux ?) minutes pour le théorème de Banach-Tarski, consultato il 16 ottobre 2016.

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