venerdì 29 marzo 2013

Matematica e conservazione del patrimonio artistico


Il mese di Aprile è, come dice il poeta, il più crudele dei mesi, ma è anche il Mese della Consapevolezza Matematica, quest’anno dedicato in tutto il mondo alla Matematica della Sostenibilità, tema fondamentale perché l’umanità deve trovare un compromesso tra i suoi crescenti bisogni e le risorse finite della Terra. La matematica, che non è affatto una scienza fine a se stessa come comunemente si pensa, può essere di aiuto per comprendere meglio questi problemi e viene utilizzata in svariati campi per cercare soluzioni creative per scelte sostenibili. Così essa viene applicata, solo per fare alcuni esempi, nello studio e nella gestione delle risorse energetiche, del clima e dei suoi mutamenti, nella comprensione e controllo delle malattie, nello studio degli ecosistemi e delle risorse biotiche. Da tempo è poi impiegata nello studio dei problemi del trasporto e del traffico nei centri urbani, e, in Italia più che altrove, nella difesa del patrimonio artistico e architettonico.

Il nostro paese possiede infatti un patrimonio storico e artistico unico al mondo, che merita di essere salvaguardato dal degrado. In questo contesto, l'Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone” (IAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha iniziato da vari anni a sviluppare una serie di ricerche sul tema della conservazione e protezione dei beni culturali. L’applicazione della matematica in questo campo può infatti offrire migliori strumenti di previsione e diagnosi, e rendere perciò più efficaci gli interventi di quanti studiano e operano nel settore.

Un aspetto importante studiato dall'IAC riguarda il ruolo della matematica nella modellizzazione e simulazione dei processi di degrado, soprattutto l'azione dell'anidride solforosa (SO2), sulle superfici marmoree, che si manifesta sia con fenomeni di dilavamento ed erosivi, sia attraverso la formazione di croste nere, che si trovano prevalentemente in zone protette dal contatto diretto della pioggia, in cui si accumulano gas e particelle atmosferiche. Il componente principale delle croste nere è il solfato di calcio diidrato, il gesso (CaSO4.2H2O), Nonostante il gesso sia una sostanza originariamente di colore bianco, le croste diventano nere a causa di particelle di diversa origine, come quelle provenienti dall’uso dei combustibili fossili. Il gesso: amico degli insegnanti, nemico dei monumenti.


La composizione chimica e le caratteristiche fisiche della crosta, rispetto alla pietra, appaiono molto differenti e causano un aumento della velocità di degrado della pietra per diversi motivi: 
solubilità differente: il solfato di calcio è molto più solubile del marmo e quindi, una volta che si è formato questo strato esterno, il solfato può, se esposto, essere lavato via dalla pioggia. 
variazione del volume: il gesso ha un volume maggiore rispetto a quello del carbonato di calcio di cui prende il posto, e ciò genera rilevanti stress meccanici all'interno della struttura causando rotture e distacchi di grossi frammenti di calcare; 
differente espansione termica di gesso e calcite: questo effetto è importante per lo strato nero che assorbe una quantità di radiazioni maggiori rispetto alla superficie bianca.

Per prevedere lo sviluppo del degrado delle superfici lapidee, la carta del rischio del Ministero dei Beni culturali considera, tra le altre cose, l'indice di erosione, dato dalla formula di Lipfert, la quale calcola in effetti solo la quantità media di materiale eroso in funzione della precipitazione, della deposizione del SO2 e della concentrazione degli NOx. Essa però risulta inadeguata riguardo al danneggiamento di monumenti, perché non rende conto dello specifico comportamento dei singoli materiali e prende in considerazione solo i fenomeni a carattere erosivo, ma non permette di valutare adeguatamente il danneggiamento operato dalla crescita di croste superficiali, e ancora meno la loro dipendenza dal tempo. Bisognava andare oltre la relazione di Lipfert, elaborando un modello del degrado più adatto ai beni architettonici e monumentali. A questo punto sono entrati in campo i chalk busters, guidati da una persona che molti dei miei lettori conoscono bene: Roberto Natalini, coordinatore del sito MaddMaths, e dirigente di ricerca del CNR, responsabile della sezione "Sistemi Complessi" dell’IAC. Devo alla sua cortesia il materiale scientifico e divulgativo che ho utilizzato per scrivere questo articolo, e che il lettore interessato può trovare qui (bibliografia compresa).

Tra i vari processi di reazione di biossido di zolfo-pietre carbonatiche che portano alla formazione delle croste gessose, il modello matematico elaborato all’IAC ha preso in considerazione la cosiddetta deposizione secca di SO2, che avviene quando l'anidride solforosa reagisce con la superficie lapidea in forma gassosa. Per far ciò è conveniente ridurre tutte le reazioni ad un'unica reazione ad un passo, in cui una molecola di carbonato di calcio, in presenza di acqua e altri fattori fondamentali, come una sufficiente temperatura, reagisce con una molecola di SO2 per formare una molecola di solfato di calcio diidrato, cioè il gesso.

CaCO+ SO+ 1/2 O+ 2H2O → CaSO4.2H2O + CO2

Partendo da queste considerazioni, si è cercato di formulare un modello matematico differenziale di tipo fluidodinamico, pur tenendo conto dei limiti imposti dal contesto. Questo tipo di fenomeni complessi permette infatti solo una trattazione matematica di tipo macroscopico, basata sulla considerazione di quantità idrodinamiche (idealmente) misurabili, come densità o concentrazioni. Tuttavia, quando questi fluidi cominciano a filtrare attraverso un mezzo solido, come le pietre monumentali, e a reagire con lo stesso, la descrizione si complica, e bisogna migliorare la descrizione dei fenomeni tenendo conto del livello microscopico. 

Di fronte a questa complessità, la strategia di elaborazione di un modello matematico deve procedere per gradi: si deve innanzitutto isolare un effetto primario, in questo caso l'azione aggressiva dell'SO2 sul carbonato di calcio, creando un modello matematico quantitativo che permetta almeno di riprodurre le esperienze di laboratorio, in assenza di altri fattori. In seguito si complica a poco a poco il modello, fino ad ottenere una descrizione più realistica. In questa fase risulta fondamentale scegliere bene i fattori che hanno una reale influenza sul fenomeno, per evitare di sviluppare un modello eccessivamente complesso e in pratica non verificabile. 

Un’idea importante per l’ideazione di un primo modello è il concetto di mezzo poroso, che dobbiamo pensare come una specie di matrice solida, formata da vuoti e da pieni, al cui interno circolano dei fluidi, che però hanno accesso solamente alla parte vuota. Ciò richiede l’introduzione del concetto di porosità, in seguito denotata con la lettera φ. La sua definizione teorica è molto semplice, essendo il rapporto tra il volume dei vuoti e il volume di riferimento, per valori piccoli dei volumi di riferimento. Il valore della porosità risulta ben definito, almeno per alcune classi di materiali, chiamati appunto mezzi porosi, e misurabile con vari procedimenti.

Una volta introdotta la porosità, le leggi di bilancio di massa non si scrivono più in termini di una concentrazione assoluta ρ, ma in termini della concentrazione porosa s = ρ/φ,  vale a dire la concentrazione presa solo relativamente all'insieme dei vuoti. Una volta definito l'ambiente in cui il fluido deve scorrere, dobbiamo definire quali sono le leggi che regolano l'evolversi nel tempo della concentrazione (porosa).

Nel caso della solfatazione, chiamiamo s la concentrazione porosa di SO2 entrato all'interno di un marmo di porosità φ, e Vs la sua velocità fluida all'interno del mezzo. Possiamo allora scrivere una legge di bilancio, in forma di equazione alle derivate parziali, che esprima il fatto che il cambiamento nel tempo della concentrazione è governato dal flusso locale e dalla possibile presenza di fenomeni di assorbimento. Per assegnare la velocità fluida Vs, anziché usare argomenti di carattere microscopico, si è preferito utilizzare alcune leggi che legano la velocità del fluido a grandezze macroscopiche come la pressione o la concentrazione stessa. Queste relazioni sono la legge di Darcy, per la parte convettiva del flusso, e di legge di Fick, per la sua parte diffusiva (quindi il flusso sVs è proporzionale al gradiente spaziale di s).

Arrivati a questo punto, si è resa necessaria qualche correzione nelle equazioni iniziali. Infatti la scelta di considerare la porosità costante durante il processo è sembrata incoerente, essendo la configurazione microscopica del gesso e del marmo totalmente differenti. Si è allora pensato di porre la porosità come funzione (lineare) della densità locale c del carbonato di calcio, con una formula del tipo φ= φ(c) secondo parametri determinati sperimentalmente. Quest'ultimo passaggio ha permesso di “chiudere” il modello in maniera conveniente ed esprimibile in termini matematici attraverso un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali non lineari di tipo diffusivo, che permette quindi di determinare l'evoluzione della concentrazione porosa di SO2 e della densità di carbonato di calcio. Nelle equazioni, le costanti mc e ms sono rispettivamente i pesi molecolari del carbonato di calcio e del biossido di zolfo, d è la costante di diffusività molecolare e A è il tasso della reazione di produzione del solfato di calcio.


Si tratta di due equazioni multidimensionali paraboliche, che sono degeneri perché nella seconda non c'è diffusione. Esse sono state utilizzate per descrivere la penetrazione dell'SO2 e la conseguente trasformazione del carbonato di calcio. Sono stati trascurati gli effetti di permeabilità: per rocce molto compatte come il marmo risulta essere abbastanza realistico pensare che non vi sia un flusso convettivo, ma solo un fenomeno di diffusione chimica all'interno della roccia.

Il lavoro successivo all'elaborazione di questo modello ha seguito tre direzioni distinte, ma ben allacciate tra loro:

Analisi del sistema e delle sue proprietà matematiche - Innanzitutto è chiaro che si deve rinunciare ad ottenere soluzioni esplicite del sistema, che ha una struttura fortemente non lineare; in pratica questo vuol dire che non si può ottenere la soluzione come somma di termini che corrispondono a diversi “pezzi” del sistema, ma bisogna risolvere il sistema come un tutto. Questo non vuol dire che la soluzione non esista, ma solo che per calcolarla si deve fare ricorso alla simulazione numerica. Con un lavoro analitico si può controllare la regolarità delle soluzioni e a determinare la correttezza del modello, una volta assegnati opportuni dati iniziali e al contorno. 

Sviluppo e analisi di schemi di approssimazione numerica - Per capire un po' meglio il comportamento qualitativo delle soluzioni, si sono approntati test numerici per un campione di lunghezza unitaria per diversi valori della concentrazione di SO2 e di densità di CaCO3, con diversi parametri di reazione A. La relativa rapidità della transizione ha portato a considerare una reazione di tipo veloce, in cui la trasformazione del carbonato in solfato avviene su di una scala di tempi molto ridotta. Per capire meglio questo fenomeno si è studiato allora il limite del modello per il parametro di reazione A che tende all'infinito, detto limite di reazione veloce, ottenendo che le soluzioni venivano ben approssimate in termini di un problema già studiato in precedenza, il cosiddetto problema di Stefan ad una fase per l'equazione del calore, che per simmetrie monodimensionali fortunatamente possiede una soluzione esplicita. Questo approccio riflette una tecnica abbastanza utilizzata nello studio dei sistemi a derivate parziali non lineari: se non si conosce la soluzione, si approssima con qualche cosa che si può calcolare esplicitamente: niente trucco e niente inganno: è prassi.


Il profilo asintotico si può descrivere in questo modo: nel piano spazio-temporale delle x e delle t, c'è una curva che separa due regioni. A sinistra di questa curva il valore della S, ossia del limite asintotico della s, è data dalla soluzione dell'equazione del calore, mentre la C, che rappresenta il carbonato di calcio, vale zero. A destra della curva, la S è uguale a zero e la C è uguale alla condizione iniziale per la densità di carbonato di calcio. La curva stessa si muove con velocità proporzionale alla radice del tempo. Questa soluzione, e in particolare la forma speciale della legge di propagazione del fronte, possono essere ora utilizzate per stimare, almeno approssimativamente l'accordo del modello con la velocità di propagazione reale della crosta di gesso.

Confronto con i dati sperimentali - Nella letteratura chimica e ingegneristica esistono molti lavori che studiano il tasso di crescita delle croste. Purtroppo però gli esperimenti riportati erano stati fatti senza tener conto dei possibili problemi di calibrazione di un modello matematico. Si è allora deciso che fosse il caso di realizzare nuovi esperimenti, esplicitamente volti alla realizzazione del modello. 

Con l’aiuto del CISTeC (Centro di Ricerca in Scienza e Tecnica per la Conservazione del Patrimonio Storico-Architettonico) dell'Università di Roma “La Sapienza”, si è costruita una camera microclimatica per fare questi nuovi esperimenti. Confrontando le simulazioni con il modello numerico a elementi finiti, con il profilo asintotico di reazione veloce, ed entrambi con i dati sperimentali di crescita della crosta a diversi tempi, ottenuti tagliando i campioni e analizzandoli al microscopio a scansione elettronica (SEM). si è trovato un ottimo accordo, almeno sul piano qualitativo, sia tra la soluzione numerica e il profilo asintotico dato dal problema di Stefan, sia con i dati sperimentali, che appaiono confermare la legge della radice del tempo.


Questo accordo ha permesso di stabilire una sostanziale coerenza del modello con il problema chimico-fisico. Molto rimane però ancora da fare, tra cui per esempio, la verifica sperimentale della dipendenza della velocità di crescita della crosta in dipendenza dalle concentrazioni esterne. Tale dipendenza, che è di grande interesse applicativo, in quanto permetterebbe di programmare meglio le azioni di politica ambientale, è in corso di verifica sul campo.


Più recentemente il gruppo di Roberto Natalini presso l’IAC-CNR di Roma ha sviluppato e studiato un modello ancor più realistico, che considera variabili importanti come l’aumento di volume e l’umidità relativa. Questi due fattori hanno una grande influenza sull’evoluzione della solfatazione, pertanto richiedono una trattazione specifica. 

La trasformazione del marmo in gesso è accompagnata da un aumento di volume, che comporta una consistente alterazione della disposizione spaziale. Benché non sia facile determinare il tasso di accrescimento, è ragionevole dire che il volume del gesso prodotto durante la trasformazione è da due a tre volte quello del marmo originario. 

Riguardo l’umidità, sulla scorta della letteratura chimica, si è determinata l’esistenza di due diversi regimi per il tasso di crescita della crosta di gesso a seconda dell’umidità relativa. Le simulazioni eseguite con i dati reali raccolti a Villa Ada di Roma hanno consentito di quantificare la conseguenza della rimozione della crosta dopo un dato tempo. Infine, si è potuto stabilire che lo spessore della crosta varia in funzione della radice di un fattore che dipende dalla concentrazione di SO2. Così, anche se si riuscisse a diminuire la concentrazione dei questo inquinante di quattro volte, si otterrebbe una riduzione di solo la metà del marmo alterato.

Tutti questi studi sono stati confermati dal progetto di validazione "Vittoriano", conclusosi nel 2011, finanziato dal Ministero dei Beni Architettonici e Culturali, in collaborazione con l'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro e l'Università La Sapienza di Roma. Non c’è più solo Lipfert! 

Naturalmente questo è solo l’inizio di un cammino, e bisognerà attivare o continuare una serie di ricerche mirate a creare un sistema matematico-informatico integrato che, partendo dall'acquisizione dei dati su di uno specifico manufatto in pietra, porterebbe alla creazione di un modello numerico specifico contenente tutti i più rilevanti effetti di degrado, anche tenendo conto dell'evoluzione temporale degli agenti esterni, in grado di simulare in maniera affidabile l'effetto dei cambiamenti di condizioni al contorno, l'interazione tra i vari fenomeni e stabilire in modo più sistematico il grado di priorità degli interventi di pulizia e restauro. 

Ecco trovata un’altra bella risposta a chi chiede a che cosa serve la matematica: serve per la conservazione dei monumenti: E vediamo che faccia fa il nostro interlocutore.

In questo caso l'aumento di volume non dipende dalla trasformazione del marmo in gesso


lunedì 25 marzo 2013

Le avventure dell’ameba


Il tormentone dell’ameba circola su alcuni siti anglosassoni di facezie e di biologia sin dai primi tempi di internet. Mi è capitato giorni fa di ritrovare un file di Word sul quale avevo salvato (su un floppy!) alcuni esempi di questo gioco, che consiste nell’usare i caratteri della tastiera per inventare situazioni e piccole storie in cui è protagonista un’ameba, rappresentata da un punto. Un esercizio apparentemente sciocco che però richiede il dispiegamento di un po’ di immaginazione, cosa che non fa mai male. Ne ho aggiunti alcuni inventati da me e li ho condivisi su Facebook, dove ho subito trovato alcuni estimatori e continuatori.

Qui di seguito pubblico il risultato dell’opera collettiva, alla quale hanno collaborato, oltre  a me e all’anonimo ideatore americano (e non inglese, perché usa period invece di full stop), gli amici Diana Beck (la più prolifica: quasi metà sono sue), Gae Spes e Emanuela Zibordi: il fatto che siamo tutti laureati costituisce un’attenuante:

./ |
Ameba che fa il salto con l’asta 

.!
Ameba sorpresa

!
Ameba con un cappello da cuoco 

,
Ameba con una gamba rotta 

@.
Ameba con un corno da caccia 

.−
Ameba con un fucile 

.<
Ameba con un megafono 

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Ameba con l’ombrello 

.}
Ameba con l’arco 

o.o
Ameba con gli occhiali 

_._
Ameba con i piedi piatti 

_
Ameba spiaccicata

.h
Ameba che si nasconde dietro una sedia 

..
Amebe che parlano 

.?
Ameba confusa

.........|
Amebe in fila alla posta 

#.#
Ameba in prigione

"."
Ameba con l’eyeliner 

¯.
Ameba depressa

.~
Ameba con la sciarpa al vento 

^.^
Ameba pipistrello 

.(
Ameba con un’antenna satellitare 

[. ]
Ameba in ascensore

.>
Ameba con un boomerang 

*
Ameba piovra 

.zZ
Ameba che dorme 

.€
Ameba ricca

.
Ameba che si nasconde dietro un punto

.
Ameba che copre un punto

| :=§
Due amebe che fumano fuori dal ristorante

._
Ameba con lo skateboard

.-O ° | O-.
Due amebe che giocano a tennis

. ° | .
E due che giocano a pallavolo

HL.ZF
Ameba in un labirinto

 .**
Ameba che guarda le stelle

..°
Due amebe innamorate al chiaro di luna

.....?.....
Ameba al Gay Pride con un vistoso copricapo da drag queen

.......O.......
Amebe nella redazione de “Il Foglio”

.! ....................
Amebe grilline

 .7
Ameba che aspetta l’autobus

~.~~~
Ameba che attraversa a nuoto lo stretto di Messina


Ameba immaginaria

 i
Ameba stilita

 H .
Ameba rugbista

. °Q °Q °Q °Q °Q
Ameba che guarda i gatti

 d.b
Ameba con gli orecchini

 ò .
Ameba che guarda un paramecio col taglio punk

............. |_._| .... +
Il funerale dell'ameba

 .°oO
Ameba che ha mangiato troppa zuppa di fagioli

 . _/
Ameba nerd

I*,I*, ., I*,I*
Ameba sul prato con i soffioni

.•________________!!!!! 
Ameba al bowling

._________________________________________________________
Ameba maratoneta

°I°.
Ameba sotto un lampione

o-;O
Ameba sul trattore

.°^Y^°
Ameba all’ombra di un albero

 T* °.
Ameba che gioca a pallacanestro

 ;i;
Ameba robot

:[]:
4 amebe che giocano a poker

à;é
Ameba farfalla

. >o);o);o);o);
L’ameba e il bruco

E = mc.c
Ameba relativistica

domenica 24 marzo 2013

Gita a Roma


Partimmo all’alba con il pullman di Silvio, io, mia moglie Adele e suo fratello Albino, e ci facemmo tutta una tirata fino a Roma senza neanche fermarci per pisciare e per fortuna che avevamo i pannoloni. Una gita per vedere il papa e stare un po’in piazza, con un cestino di generi di conforto pagato da lui, che a noi vecchi ci è sempre piaciuto e ci dà quello che vogliamo vedere in televisione. E la bandiera per chi la voleva e Adele la prese per coprirsi le spalle che a marzo non c’è da fidarsi. Durante il viaggio guardammo la Zanicchi e cantammo Azzurro prima di crollare uno a uno e ci svegliarono a Chiusi. Arrivammo nella piazza che dovevamo starci tre ore e che cosa facciamo in tre ore che siamo già stanchi prima di cominciare? Ci sedemmo in un bar a bere un caffè che di più non potemmo permetterci. A dir la verità Piazza San Pietro ce l’aspettavamo diversa. Per fortuna che poi arrivò Silvio.

venerdì 22 marzo 2013

Arnaldo Biserani poeta

Il 19 marzo 1963 moriva tragicamente il pittore e poeta Arnaldo Biserani (1905-1963). Di lui ci rimane solo una fotografia che lo ritrae intorno al 1955, schietto rappresentante della gente di Romagna. La sua fama di pittore, e la complessità della sua opera che copre trent’anni di storia dell’arte contemporanea italiana, ha purtroppo messo in secondo piano il Biserani poeta, che non è azzardato definire una delle figure più complesse e significative del periodo. Nel cinquantenario della morte è doveroso ripercorrere il suo cammino perché anche il grande pubblico incontri e apprezzi la sua perizia letteraria. 

L’uomo Biserani, così come lo ricordano la sorella Adua e gli amici, era dotato di un carattere gioviale ed estroverso, nel quale ogni tanto emergevano momenti di vero e proprio spleen, soprattutto se alle dodici e mezza non era ancora pronto in tavola. Sin da piccolo amava gli scherzi, che poi commentava con la sua grassa, inconfondibile, risata. Ciò non gli impedì mai di essere un curioso e accanito divoratore di libri, soprattutto di poesia, ma anche romanzi e saggi letterari. Giunse ad accumulare più di trenta libri, che furono donati dagli eredi alla biblioteca di Porto Corsini, dove gli studiosi possono consultarli. 

Alla fine degli anni ’20 si accostò alla poesia, stimolato dalla lettura di Ungaretti. Il suo ermetismo non è tuttavia disperato, ma impregnato dello spirito solare della sua terra. Scriveva in dialetto e in italiano, in rima o con verso libero, secondo l’estro del momento e in funzione di ciò che aveva mangiato. La sua prima poesia, Pulpàtta (Polpetta), fu pubblicata nel 1930 sulla rivista letteraria “Parnaso ravennate”. Ecco una traduzione in italiano, che rende solo in parte l’intima musicalità del vernacolo e le insondabili geometrie lessicali di quest’opera impregnata di misticismo: 

Patata, aglio, prezzemolo, uova,
l’uomo ha tanti ingredienti 
di cui non si rende conto, 
e pensa come una polpetta 
che loda la propria polpettità 
ignorando le mani che la fecero. 

Più mature e tuttavia più semplici le poesie contenute nella raccolta Sardine impanate fritte alla fermata del treno (1937), nella quale l’alternarsi dei codici linguistici riflette gli stati d’animo dell’autore, sempre attento agli atti semplici della vita quotidiana, soprattutto in cucina. Rileggiamo da questa raccolta un’opera che, più di altre, riflette il carattere libero dell’autore, capace di esprimere un amore universale in controtendenza con le incombenti leggi razziali. Si intitola I funghi.

Figli del bosco e dell’acqua, 
i funghi sono detestati dai vegetali, 
perché non lavorano 
e vivono a spese degli altri. 
I funghi sono gitani, 
arrivano improvvisi 
e improvvisi spariscono, 
con note di violino. 
Tanti funghi sono delinquenti, 
velenosi, allucinogeni, osceni, 
possono uccidere, possono fare impazzire. 
Ma quelli buoni sono buoni, 
c’è scritto anche nel nome, 
e se sposano il riso 
si coprono di un manto 
di burro e prezzemolo. 


Biserani torna un’ultima volta alla poesia nella seconda metà degli anni Cinquanta, pubblicando infine Cicciolata (1962) qualche mese prima della sua morte prematura. Si tratta di uno smilzo volumetto di una trentina di opere, vero e proprio testamento spirituale, che anticipa molte delle correnti letterarie della fine del secolo, dal Gruppo ’63 alla beat generation. Le sue tematiche si aprono alla questione sociale, gli stili si fanno più incisivi, le tecniche compositive più sperimentali. La raccolta si apre con Maiali nell’alba, che qualche critico come il Dell’Orto ha voluto accostare con impudenza ad Allen Ginsberg, ma che a suo modo anticipa le attuali sensibilità animaliste: 

Sono andato con la macchina nuova 
all’allevamento dei maiali del Baretti 
su fino a Mirandola, e li ho visti. 
Ho visto le bestie migliori 
della mia generazione 
distrutte dalla follia, ingrassate, nude, 
trascinarsi nei recinti negri all'alba 
in cerca di un sollievo astioso, 
un pastone nel truogolo celeste, 
nella dinamo stellata nel meccanismo 
della notte. Con gli occhi vuoti 
sedevano grugnendo nell'oscurità 
chiedendosi il perché e il come 
di una vita vissuta per diventare 
costine e salami, prosciutti e ciccioli, 
per i Biserani come me, angeli 
sterminatori dell’Apocalisse suina. 

Più intimista è Quelle ciliegie, opera sospesa sul filo del ricordo dell’infanzia, nella quale troviamo anche la sorella Adua, con la quale visse per tutta la vita, nonostante le sue numerose avventure sentimentali. Il tono colloquiale, che la traduzione in italiano tradisce inevitabilmente, e il metro libero, danno al componimento i toni di un vero e proprio flusso di coscienza:

Stanotte ero lì che non avevo più sonno 
e sono uscito intanto che l’Adua dormiva, 
e mi è venuto in mente quell’orto incantato, 
dove noi bambini andavamo a rubare 
ciliegie, mugnéghe e anche gli zucchetti 
perché c’era la fame, mica come adesso, 
allora ho preso la bici e ho pedalato forte: 
ho sentito il campanone delle tre e mezza, 
dall’altra parte della statale, verso i colli. 
Quasi mi perdevo, ma certe strade poi 
le memorizzi, come gli uccelli migratori, 
che non c’è Africa che li faccia scordare 
il nido o la gronda rugginita dove sono nati. 
Dietro un magazzino di vernici, al buio, 
dove c’era il casolare dei ferraresi, 
ho trovato un pezzo di siepe di bosso, 
che era quella che eroici scavalcavamo, 
e un albero, un vecchio ciliegio storto, 
che aveva su tante belle ciliegie rosse, 
che mi sono arrampicato e ho raccolto, 
saranno state un chilo, un chilo e mezzo. 
Ne ho mangiata qualcuna e le altre 
le ho messe nella borsa sulla canna 
e sono tornato indietro che anche Coppi 
mica mi prendeva, tanto che andavo. 
Son tornato a casa e mi sono disteso, 
e ho preso sonno mentre il sole sorgeva. 
Mia sorella mi sveglia alle dieci 
e mi dice sei tornato in quell’orto, vero? 
Quelle ciliegie le ricordo anch’io. 


La solitudine e i guai della maturità sono l’oggetto di Riccione ’61, ispirata da una notte estiva nella città romagnola, trascorsa in compagnia dell’amico e collega Dello Feltraro, da lui sempre considerato uno sfigato approfittatore. Il contrasto tra l’atmosfera di vacanza e lo stato d’animo dei protagonisti è un archetipo dell’incomunicabilità dell’uomo moderno. Per la prima e unica volta nella sua opera poetica, il Biserani non ha fame:

Abbiamo bevuto, invorniti, fatto il giro dei bar 
nella lunga notte delle tedesche allegre e disponibili. 
Luci al neon sopra le Spaten provvisorie, poca schiuma, 
e risate e pingpong e minigolf nel luna-park estivo. 
A un certo punto mi dice che gli è venuta fame, 
ma non ha soldi che ha lasciato il giubbotto in stanza, 
allora gli dico, patacca, è già la terza volta che lo fai, 
ma mi hai preso per un coglione? Torniamo indietro, 
che a me ‘sto Nico Fidenco mi ha rotto i maroni, 
che non ho digerito e poi a noi di cinquant’anni 
invorniti e incazzati le tedesche mica ce la danno. 

La raccolta contiene anche un paio opere ermetiche, in una sorta di ritorno alle radici della sua poesia, mediato dal Giappone e dalla lettura dei francesi come Èluard. Commuovente questa perla, con la quale rende omaggio all’eterno femminino romagnolo: 

Nel brodo dei ricordi, 
le donne preziosi tortellini, 
fumanti di vita. 


Echi di America e beat generation, oltre a sorprendenti conoscenze geometriche, caratterizzano infine la poesia che chiude la raccolta, Milano, forse l’ultima composta in italiano dal Biserani, sempre legata ai temi che gli sono più cari. Con questi versi emblematici concludo il suo ricordo. 

A Milano in un lungo inverno scuro, quando il sole è cosa di Romagna, 
incontro la cassoela untuosa, le puntine, le cotenne, i salamini 
nella verza accogliente come una vagina innamorata; alla sera mi portano
in un ristorante di pesce a Lambrate, nella sera metallica e nebbiosa 
di treni e di tram e gente che si aggira indefinita e gelida 
e trovo nel menù il rombo di nuovo, e le sue forme regolari 
e schiacciate di pesce geometrico, con la superficie prodotto 
delle diagonali, quattro lati, paralleli due a due, ingobbiti 
dalla pressione dell’acqua, ma io ordino un gran fritto misto, 
che dicono che qui è più fresco che al porto di Rimini, 
può darsi ma non lo sanno fare e sa di bombolone riscaldato, 
allora prendiamo la macchina e andiamo a bere un digestivo 
in centro, dove i camerieri hanno più puzza sotto il naso 
dei clienti ricchi, industriali e negozianti con il gozzo 
da macellaio che ordinano vischi d’annata per loro e le due-tre 
puttane che li accompagnano fumando Muratti e Mercedes. 
Usciamo sotto le colonne e la nebbia è sparita, tira aria di neve, 
allora ci congediamo e ci diamo appuntamento per la mostra 
di Fontana l’indomani, e io sono contento, tra i primi fiocchi 
illuminati dai fanali, di tornare al caldo, mettermi in pigiama, 
e sedermi sul water che mi scappa anche da cagare.

Per chi desiderasse approfondire la conoscenza del Biserani pittore, raccomando l'illuminante e documentato saggio dell'amica e collega Maria Clara Bottoni, su BAU 2.0, che esce in contemporanea con questo articolo.

giovedì 14 marzo 2013

Jorge


Impara Adso, mio giovane amico, che molto spesso l'ostentata pietà può nascondere desideri e atti inconfessabili. Avresti mai pensato che padre Jorge potesse un giorno aver compiuto simili misfatti, rivelando la sua natura di essere imperfetto? Il peccato si annida dentro ciascuno di noi, anche in chi è elevato alle più alte cariche. Con l'aiuto di Dio, soltanto il pentimento può riscattare il responsabile, e soltanto la ragione può servire a smascherarlo. 

Il tuo fratello in Cristo, frate Guglielmo da Baskerville.

venerdì 8 marzo 2013

Prima liceo, tra sesso e rivoluzione

Il criterio che aveva portato una trentina di adolescenti sfigati nell'unica classe tutta maschile dell’Einstein era puramente geografico: venivamo tutti da fuori Milano, oppure dalle periferie allora ai margini della campagna, come il Vigentino, Rogoredo, via Mecenate. A peggiorare il nostro senso di esclusione, la 1°H era la sola classe ospitata in un’aula del seminterrato, di fronte all'infermeria e al bar e di fianco al garage dei professori. Una delle conseguenze più evidenti di questo isolamento, a parte l’indimenticabile aroma di caffè mescolato ai gas di scarico, era che ad ogni cambio di insegnante godevamo di un quarto d’ora di riposo logistico, il tempo necessario per essere raggiunti da un essere trafelato con il registro in mano, in provvisoria discesa nell'Averno, tutt'altro che facilis

Facevamo parte della generazione del baby-boom, e quella soluzione serviva a selezionare gli iscritti in funzione degli spazi disponibili. Il professor Papandrea, il preside, aveva già previsto una certa selezione naturale e indotta, con conseguente riduzione significativa dei promossi e smembramento finale della classe, con i sopravvissuti, i “più adatti”, distribuiti nelle altre sezioni indicate da lettere precedenti e più fortunate. Da anni, infatti, alla 1°H non seguiva mai una 2°H. 

Non ricordo i nomi dei professori di quella prima liceo scientifico dell’anno scolastico 1969-70, e di gran parte dei miei compagni di classe. Stranamente, ricordo soltanto il nome dell’insegnante di religione, don Virginio, un vecchio prete che aveva fatto come cappellano degli Alpini la campagna di Russia e ci parlava solo di quello, con dolore e rispetto per il nemico. Si sedeva sempre sopra un banco della prima fila, che i più dispettosi di noi provvedevano regolarmente a sporcare di gesso prima del suo ingresso. La prof di lettere era un’anziana signora, molto materna, che abitava sopra l'Upim di Piazzale Corvetto, quella di matematica era giovane e scheletrica, abbastanza insignificante. 

Erano ancora i tempi beati in cui l’anno scolastico incominciava ai primi di ottobre, ma c’erano la contestazione e l’autunno caldo, perciò le nostre vacanze estive furono in qualche modo prolungate da una lunga occupazione fino alla fine del mese. Ci fu un periodo di calma relativa in novembre, durante il quale gli scioperi avevano cadenza solo settimanale, interrotto in maniera tragica dalla bomba di Piazza Fontana. Così a fasi alterne, fino a metà maggio, quando anche i più politicizzati sentivano avvicinarsi gli scrutini finali. 

In quel primo anno agitato scoprii alcune cose delle quali alle medie, nel mio paesone sulla via Emilia, avevo solo vago sentore. Innanzitutto la città, luogo meraviglioso, caotico, rumoroso, futurista, che amavo scoprire poco alla volta e in aree sempre più lontane, come un esploratore curioso e un po’ intimorito. Con un certo brivido amavo andare alla Statale in via Festa del Perdono, luogo dei grandi, simbolo della mia crescita umana futura, dove spesso con qualche amico bigiavo le manifestazioni per mangiare i panzerotti o i panini con il wurstel e i crauti rossi nella vicina Piazza Santo Stefano. 


C’era poi la politica, nella sua declinazione contestataria, allegramente casinista, ingenua, come si addice a un movimento di giovani pieni di speranze, di illusioni sul futuro, ma anche di grandissime cazzate. I giovani di allora erano fortunati, sapevano di vivere meglio dei loro genitori, e credevano che questo progresso fosse un meccanismo ineluttabile della storia. A loro nessuno poteva togliere almeno la speranza. Per me, e per molti come me, quell’atmosfera di protesta continua, di stravolgimento dei tempi e dei luoghi stabiliti, che già si manifestava anche in forme violente, era, lo devo ammettere, un gran divertimento. La mia coscienza politica era quella di un ragazzino, cioè rasentava lo zero, e a nulla valeva la lettura di quei pallosissimi libretti rivoluzionari che allora circolavano e che quasi ti obbligavano a comprare davanti alle scuole. Sapevo che le nostre rivendicazioni contro l’autoritarismo e per il diritto allo studio erano giuste, e vedevo che in cambio avevamo gas lacrimogeni e stragi. Mi sentivo dalla parte della “rivoluzione”, della quale apprezzavo non certo la componente militare (i katanga del Movimento Studentesco mi facevano paura) ma quella più genuinamente libertaria, un po’ hippy, con molto rock, ma senza le droghe, che non sapevamo neanche che cosa fossero. E poi c’era il sesso, più immaginato che sperimentato. 


Già. Per i primini di una classe tutta maschile le manifestazioni erano anche le occasioni privilegiate di conoscere le ragazze. C’erano le prime esperienze con l’altro sesso, cose ridicole di fronte alla precocità priva di poesia dei tempi attuali: una passeggiata mano nella mano, il primo bacio con una di seconda, la piacevole sensazione di un seno toccato attraverso il maglione. Fu un formidabile connubio di impegno e cuccamento, di slogan truculenti e di minigonne. Aveva ragione Gilles Deleuze a dire che non c’è rivoluzione senza investimento libidinale: eros e rivoluzione camminavano anche loro per mano. Penso che la sinistra in Italia abbia perso gran parte del suo fascino per i giovani proprio perché è passata l’idea che a destra si scopa di più. 


Alla fine dell’anno scolastico della 1°H dell’Einstein fummo promossi in una quindicina, da suddividere nelle tre seconde delle sezioni che facevano inglese. Pochi giorni dopo l’esposizione dei cartelloni, i miei genitori furono convocati da Papandrea per il sorteggio e tornarono con la notizia che ero finito nella B, uno delle sezioni più prestigiose e, last but not least, collocata in un lungo corridoio del primo piano. Sapevo che, nella seconda, le ragazze sarebbero state circa il doppio dei ragazzi: il futuro sembrava promettente, in quell'estate di Rare Bird e Mungo Jerry. Ancora non conoscevo lei, la Pallade Atena del Liceo, l’algida vergine della matematica: avrei incontrato la professoressa Ines Furlan una volta giunto in terza, ma questa è una storia diversa e ve la racconterò un’altra volta.

venerdì 1 marzo 2013

Delusione di garimpeiros


Scavarono per due anni, Paulo e Tom. Scavarono una voragine profonda, vivendo dei proventi di quell'unica pepita che avevano trovato un giorno, quasi sotto l’erba della foresta. Scavarono sotto il sole implacabile, sotto le piogge torrenziali che rendevano cedevoli i versanti, difendendosi dagli insetti e dai serpenti con zelo implacabile. Scavarono, tagliando radici centenarie di alberi che forse avevano visto i primi portoghesi, sollevando sassi appuntiti e puzzolenti di muffe, passando sotto il grande setaccio ogni più piccola molecola di quella terra grassa e rossastra, viva di uova e vermi e di chissà quanti miliardi di batteri, che ogni giorno diventava sempre più ostile. Alla fine di un settembre afoso Paulo morì di stenti e dissenteria e Tom decise di arrendersi e tornare nella favela arrampicata sopra la città della costa lontana. Come talvolta succede quando si conosce una persona, dovette constatare che l’unica cosa preziosa che gli era stata concessa si trovava in superficie. 

(da una mia idea del 1984, dedicata a un ex-amico e collega)