sabato 1 ottobre 2011

La musa vagabonda di Luciano Folgore

Il poeta Omero Vecchi (1888-1966) aveva mostrato un precoce talento e alcune sue composizioni, in stile e metrica tradizionali, erano state pubblicate da importanti riviste letterarie quando aveva solo quindici anni. Nel 1908, non ancora ventenne, fu attratto dalla sirena marinettiana del Futurismo, partecipando attivamente alle battaglie e ai proclami roboanti del movimento. Soprattutto decise di cambiare nom de plume, e, su consiglio di Marinetti, scelse per sé, da allora e per sempre, il due volte brillante pseudonimo di Luciano Folgore.

Negli anni convulsi e drammatici della Grande Guerra pubblicò raccolte di poesie, scritte nello stile sperimentale e iconoclasta del verbo futurista, ma si fece notare anche per lo spirito birbone con il quale collaborò alle riviste La Voce e Lacerba, dove lanciò tra gli altri futuristi i demenziali versi maltusiani, suoi e di Petrolini, che celebrarono la loro apoteosi nel gustoso Almanacco Purgativo del 1914:

Padreterno è quella cosa
che ti veglia giorno e notte
ma che poi se ne strafotte
delle tue calamità.

Moralista è quella cosa
che del fico vuol la foglia,
ma se poi gli vien la voglia
vuole il frutto e al femminil.

La saliera è quella cosa
che ha la forma di un occhiale;
da una parte ci sta il sale
e dall’altra ci sta il pep.

L’obelisco è quella cosa
che si drizza sulle piazze,
ne van matte le ragazze
perché duro e volto in su.

Sulle trincee fu un massacro, e lo Zang-tumb-tumb stava, lentamente ma inesorabilmente, diventando maniera, da inno giovanile e iconoclasta che era stato. E già Marinetti si stava adattando al ruolo di vice D’Annunzio sull’Altare della Patria culturale. Folgore decise nel 1919 che il Futurismo non faceva più per lui, forse perché si stava istituzionalizzando, forse perché lui era cambiato e incominciava a prevalere in lui quella vena di nichilistico disincanto che lo avrebbe sopraffatto se non avesse reagito con l’arma dell’umorismo. Pubblicò nello stesso anno le poesie futuriste che aveva scritto durante la guerra, ultimo omaggio alla sua stessa giovinezza, tra le quali leggiamo capolavori come Tutta nuda:

Te,
nuda dinanzi la lampada rosa,
e gli avori, gli argenti, le madreperle,
pieni di riflessi della tua carne
dolcemente luminosa.

Un brivido nello spogliatoio di seta,
un mormorio sulla finestra socchiusa,
un filo d'odore,
venuto dalla notte delle acacie aperte,
e una grande farfalla che ignora
che intorno a te
non si bruciano le ali,
ma l'anima.

Folgore lasciò i vecchi amici senza rancori, ma prese una strada diversa. La sua vena umoristica, lieve e giocosa, a volte dissacrante, fece capolino nel volume di racconti Crepapelle (1919), vero spartiacque tra la fase più propriamente futurista e quella umoristica. Si diede poi alle parodie, pubblicando nel 1922 e nel 1926 due raccolte di poesie (Poeti controluce e Poeti allo specchio) scritte “nello stile di” che gli valsero un posticino nel poco affollato Empireo degli umoristi italiani. All’appello della folgoriana attenzione c’erano tutti coloro che riscuotevano all'epoca un certo successo negli ambienti letterari, molti dei quali non dicono più nulla al lettore moderno. Tra i più noti ancor oggi Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Gabriele d'Annunzio, Trilussa, Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Papini, Guido Gozzano, Sibilla Aleramo, Annie Vivanti, Ada Negri, Giuseppe Ungaretti, Aldo Palazzeschi e lo stesso Folgore, che non risparmiava nessuno, a qualunque corrente poetica appartenesse, neppure se stesso.

Il procedimento di Folgore era piuttosto costante: preso il componimento più noto del poeta da parodiare, ne imitava il metro e il contenuto, calandolo a livello del quotidiano e ingigantendo le tematiche del poeta stesso, che erano trasformate in ossessioni, in manie. Così nacque ad esempio L’Alba, in cui prendeva di mira i versi leggeri e dubbiosi di Giovanni Pascoli, trasformati in esitazioni quasi ebeti:

Gli orti di Barga stavano, pervasi
da un lieve freddo, lieve, così lieve
che a dirlo non faceva freddo, quasi.
Brina? Sì, no. V'era un biancor di neve,
un presso a poco, un nulla, una chimera
e qualche schiocco nella strada breve.
A un tratto parve che dal ciel piovesse
un po' di guazza, ma non piovve affatto,
com'uno che dicesse e non dicesse.


La parodia più riuscita è forse La pioggia sul cappello, gioco sulla Pioggia nel pineto dannunziana, in cui Folgore portava all’eccesso le preziosità lessicali e il baule mitologico del poeta pescarese, applicati a una situazione banale come la pioggia che coglie D’Annunzio e la sua donna mentre sono a passeggio per la città:

Silenzio. Il cielo
è diventato una nube,
vedo oscurarsi le tube
non vedo 1'ombrello,
ma odo sul mio cappello
di paglia,
da venti dracme e cinquanta
la gocciola che si schianta,
come una bolla,
tra il nastro e la colla.
Per Giove, piove
sicuramente,
piove sulle matrone
vestite di niente,
piove sui bambini
recalcitranti,
piove sui mezzi guanti
turchini,
piove sulle giunoni,
sulle veneri a passeggio,
piove sovra i catoni,
e, quello ch'è peggio,
piove sul tuo cappello
leggiadro,
che ieri ho pagato,
che oggi si guasta;
piove, governo ladro!
E piove soprattutto
sul tuo cappello distrutto
mutato in setaccio,
che ieri ho pagato
che adesso è uno straccio,
o Ermïone
che scordi a casa 1'ombrello
nei giorni di mezza stagione.

Anche il rarefatto Ungaretti de L’importo sepolto raggiunge risultati esilaranti:

Oggi è sabato,
domani
sarà
domenica,
poi lunedì;
sempre così
e non da ieri.
L'ho detto.
Ora
me ne vado
a letto
volentieri,
perché
sono stanco
di questi
grandi pensieri.

Nel 1935 seguì una raccolta di parodie di prosatori: Novellieri allo specchio. Parodie di D'Annunzio e altri. Fu insomma un precursore degli esercizi di stile di Queneau o, come probabilmente avrebbe detto il francese, un suo “plagiario per anticipazione”.

La pagina scritta era un confine troppo stretto per la sua creatività, così Folgore si cimentò, per tutta la sua carriera conclusasi con la morte nel 1966, anche con il teatro serio, il varietà, i programmi radiofonici per gli adulti e per i bambini (con testi in rima poi raccolti in volume), con la televisione.

Significativa fu la collaborazione con importanti riviste popolari, come il Travaso delle idee, periodico di satira politica e di costume, e, tra il 1918 e il 1954, la Tribuna Illustrata, settimanale di cronaca e opinione che allora rivaleggiava con la Domenica del Corriere. Sulla Tribuna pubblicava poesie ed epigrammi umoristici venati da una certa dose di pessimismo sulla vita e sulla pretesa degli uomini di dare ad essa un senso. Questi scritti erano firmati con lo pseudonimo di Esopino, che Folgore aveva utilizzato per la prima volta per firmare con Petrolini la rivista Zero meno zero nel 1915 (e che negli anni ’50 sarebbe stato utilizzato anche da Gianni Rodari per alcune fiabe di animali nello stile di Perrault).


La prima produzione di Folgore/Esopino per la Tribuna Illustrata fu raccolta in un libretto dal titolo Musa Vagabonda. Gioconda e qualche volta profonda, pubblicato da Campitelli a Foligno nel 1927. Da questa pubblicazione traggo Il mio Aldilà, in cui si manifesta a mio parere il segno dell’umorismo di Folgore: vagabondo, giocondo e qualche volta profondo.

Se morissi una notte all' improvviso
no, non vorrei salire in paradiso.
Il paradiso è un sito
troppo fuori di mano,
un infinito pieno d'infinito,
un lontano lontano, assai lontano.
Giunti lassù si perde la nozione
delle cose terrestri e vi si oblia
oltre il dolore e la malinconia
i fatti, le disgrazie, le persone,
che ci han rotto le scatole e avverrebbe
ch' angeli o santi si perdonerebbe
coloro che ci diedero fastidio
fino al delirio o fino al suicidio.
Invece io chiedo in premio dei miei mali
non la beatitudine, ma il modo
di vendicarmi a fondo di quei tali.
Vorrei morto di fresco entrare a un tratto
nel corpo del mio gatto,
del mio gatto siamese,
dal muso nero e gli occhi di turchese,
che passa tutto il giorno
ad acciuffar le mosche
che gli ronzano intorno.
Perché dentro le mosche prigioniere,
ci stan l' anime perse dei noiosi
che turbarono sempre i miei riposi.
Ah che rara fortuna, oh che piacere
dar la caccia alle mosche dopo morto!
Spero che Dio, supremo giustiziere,
se ne ricordi e non mi faccia torto.

6 commenti:

  1. Maestro, sei sempre stupendo! (sì, lo so, stupendo è Folgore, ma anche tu che ce lo proponi...)

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  2. Ottimo. Ci sarebbero tante cose da dire ma mi soffermo su una. Ah che meraviglia se tu avessi scritto questo post e io l'avessi letto in quarta (o quinta? boh). Perché sul Prascoli (altro gioco per far imbestialire la prof.) io ci avevo un conto in sospeso (anche don Dante, Foscolo, D'Annunzio, Ungaretti et al.).

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  3. Lascia il vizio del fumo, se al suo posto puoi mettere il vizio dell'arrosto.
    (Luciano Folgore)

    Però non so se lui fosse un fumatore, tu lo sai, Popinga?

    B

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  4. Non lo so. Ma all'epoca non si era artisti d'avanguardia senza esserlo. Opino che lo fosse.

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  5. Piove sulle tue narici sparse.. Nelle antologie scolastiche accanto a ogni autore dovremmo trovarci il suo parodista, lo studio della letteratura registrerebbe dei picchi di rendimento tali che la Gelmini si complimenterebbe con gli investitori.

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