domenica 30 ottobre 2011

Carnevale della Fisica n. 24

Oggi è il giorno del Carnevale della Fisica n. 24, ospitato da Cristina Sperlari su Il Piccolo Friedrich. Esperienze scolastiche matematiche, scientifiche e non solo... raccontate da una maestra e dai suoi bambini. Cristina è una bravissima maestra e blogger scientifica, e ha dato la sua impronta a questa edizione del Carnevale illustrandolo con i disegni degli scolari, che ha voluto coinvolgere nella preparazione. Un bel cimento, davvero, dedicato allo "sperimentare", con numerosi contributi in tema e qualcuno decisamente fuori tema, come il mio.






sabato 29 ottobre 2011

Due paesaggi incantati

Paola Senesi: Borgo tra le nubi, 2004

Tra le nubi che genera l’aurora
si eleva il borgo di Elsinora,
casto castello di petali caduti,
steli calpestati e sogni perduti.

Ci si giunge appesi ai raggi di sole,
sempre da soli nel maggio morente:
chi c’è stato parlarne non vuole,
nega, si volta, e si vede che mente.


Paola Senesi: Borghi sognanti, 2004

Le torri più antiche all’esterno son spinte
da quelle novelle che urgon dal centro:
cadranno infine, dal niente avvinte,
perché fiorisca il borgo d’Omentro.

Paese di sogno, dai contorni strani,
ricorda da matti la società degli umani,
dove ai margini i vecchi sono messi
perché la saggezza non crea interessi.


(omaggio all'arte dell'amica Paola Senesi: mi sa che continua)

giovedì 27 ottobre 2011

Trittico delle delizie


La promessa

Di fronte alla richiesta di fatti convincenti
il lupo scrisse ai lupi una lettera d'intenti,
promettendo per il futuro
un impegno duraturo,
come fa il moribondo circondato dai parenti.



L'ignavo

Davanti al massacro stette sempre zitto
ritenendo il suo soglio al di sopra del conflitto.
Chiuso nei suoi giardini
lascio fare agli aguzzini:
come Pacelli si credeva nel diritto.



Epiteto meritato (rebus descritto alla maniera di Sanguineti: 5, 8)

Osserva: nell'acqua nuota il pesce fario,
dalle targhe si capisce che si è sul Lario.
Sul numero che vedi lì,
che precede two e three,
c'è un articolo per scolari, ordinario.

mercoledì 26 ottobre 2011

I rebus descritti di Edoardo Sanguineti

Mi sono imbattuto proprio oggi nell’intelligente blog di Salvatore Lo Leggio, che porta la dicitura “Politica, storia, letteratura e varia umanità. Pezzi vecchi e pezzi nuovi. Ogni lunedì una poesia. Borghesi e reazionari, pretonzoli e codini, reggicode e reggisacchi, ruffiani e pecoroni, tremate!”. Lo segnalo ai lettori di queste mie note. In un post dell’anno scorso, Salvatore riporta una dichiarazione di Edoardo Sanguineti (1930–2010) tratta da un intervista all’Europeo del 9 maggio 1987, in cui il grande poeta parlava dei suoi rebus in versi:

“La mia ultima raccolta di poesie, non ancora pubblicata integralmente, si chiama Rebus. Ma la nozione di rebus è al fondo di tutte le mie poesie, non solo di queste. Detto più chiaramente: io penso che ogni testo poetico nasconda un sottotesto, sia in qualche modo un indovinello, e perciò mobiliti tanto l'interpretazione che la critica. La differenza tra un indovinello in senso enigmistico e un indovinello in senso poetico è che il primo ha una solo soluzione e il secondo ne ha infinite. Ci sono diecimila modi di leggere L'infinito di Leopardi e in ciascuno di essi abita una parte di verità".

Dell’amore di Sanguineti per la sperimentazione verbale, la ludolinguistica, l’enigmistica e della sua adesione all’Oplepo, filiazione italiana dell’Oulipo, di cui fu anche presidente, ho già avuto modo di parlare (qui, qui e qui), ma mai avevo avuto occasione di leggere i suoi rebus descritti. L’occasione mi è giunta con la lettura della raccolta di raccolte Il Gatto Lupesco. Poesie 1982–2001, Feltrinelli, Milano, 2002, che contiene, tra le moltissime opere (testimonianza di vent’anni di straordinaria, multiforme, sperimentale, impegnata, giocosa, disperata, erotica attività poetica), la raccolta Rebus, uscita nel 1984, oltre ad altre poesie enigmistiche scritte qua e là negli anni.

Dal punto di vista enigmistico, i rebus in poesia di Sanguineti aggiungono al rebus classico, illustrato, e al rebus descritto a parole, una difficoltà ulteriore, che è quella del linguaggio poetico, che cela nei versi, in modo direi inevitabile, le immagini che dovrebbero aiutare il lettore, con l’ausilio delle lettere maiuscole, nella risoluzione dell’enigma. Non si tratta di rebus facili, nel senso che la frase risolutiva, spesso breve e banale, richiede uno sforzo di decodificazione molteplice. Non sono stato capace di risolverli tutti.

Lo stesso Sanguineti, in Genova per me (Guida Editori, Napoli, 2004), piccolo libro di ricordi, versi, ispirazioni, luoghi dedicato alla sua città natale, diceva:

“Nell'84 presi a comporre una serie di poesie che ebbe per titolo Rebus. Era un titolo ambiguo. Per un verso, intendevo indicare una poetica di assoluta impersonalità, per tanta parte che potesse tenere, nei testi, il detestabile io dello scrivente. Avevo in mente una poesia che, per così dire, desoggettivandosi a fondo, nascesse dalle cose stesse, quasi esentata da qualunque intervento autoriale. È una poetica che, in me, era già operante, nemmeno troppo occultamente, da tanto, e forse dovrei dire da sempre, e che, per molti riguardi, caratterizza radicalmente tutti i miei tentativi in versi. Ma, tra gli altri testi di questa sequenza, alcuni erano in forma, letteralmente, di rebus. Nel gergo dell'enigmatistica, si tratta di rebus descritti”.

Nel volumetto, il poeta dava un esempio, a mio dire scoraggiante per un solutore, di spiegazione del rebus nascosto in una sua poesia, la numero 7 di Rebus, che ricorda l’incontro con una giovane segretaria spagnola all’Ambasciata Italiana di Madrid in presenza dell’ambasciatore M.M., del quale per carità non si fa il nome:
che dovrebbe portare alla frase (8, 7): GE nove sega L ante = Genovese galante.

Altri rebus di Sanguineti sono meno sconfortanti. Di uno propongo l'enunciato e la mia soluzione:

Da Glosse (1986–1991), numero 5:

Sono Esse Ci, se vedo bene (in codesto endecasillabico 9, 4, 3, 2, 3, 6), in piedi,
le mani in tasca, ringiovanito tutto: (il mio amico si china, per raccogliere adesso,
lì in terra, un non so che):
                                      il paesaggio è grande, molto fluviale, e così mi ricorda,
ma vagamente, con quel Ti che mi scorre lentamente, un mio viaggio a Colonia,
tempo fa: (c’è persino un castello, ma non c’entra):
                                                                             e poi c’è un tavolino,
in primo piano, c’è una collana di non so chi, che si spezza, c’è una minimissima
sferruzza, una O che rotola (e si posa, così vagando, oziosa, sopra un libro illustrato
spalancato, dove una coppia di A (due trampolieri ittiofagi, detti anche sgarze o nonne)
punta, in un’acqua immaginaria, le zampe zufolesche:
                                                                               fatto l’autoritratto, mi allontano:

SC ritto Reno TO perla su aironi A = Scrittore noto per la sua ironia

Ne propongo altre due che sono riuscito a risolvere, lanciando ai miei lettori il guanto di sfida: ne siete capaci anche voi?

Da Glosse (1986–1991), numero 6:

Da Rebusnumero 21:

Aggiornamento del 27/10/2010, ore 19.00: 

Fornisco le soluzioni dei due rebus sanguinetiani che ho proposto:

Glosse, numero 6:  LA mento S oca NT ile N are = Lamentoso cantilenare.

Rebusnumero 21: Azza R dardi SC orsi = Azzardar discorsi.


Il secondo è stato risolto da Anonymous nei commenti qui sotto e da Fabrizio Guy su Facebook. Il primo, un po' stiracchiato per la verità, non ha avuto solutori.

domenica 23 ottobre 2011

Carnevale della Chimica n. 10


Benvenuti al Carnevale della Chimica n. 10, nel decimo mese dell’Anno Internazionale della Chimica. Dopo aver doverosamente ricordato che 10 è in numero atomico del Neon, nobile e raro gas che utilizziamo per le insegne luminose e per i laser, e che 10 è anche il numero dei neutroni posseduti dall’isotopo stabile dell’ossigeno 18O, che costituisce lo 0,2% dell’ossigeno presente in natura, passo a presentare il tema consigliato per questa edizione, e cioè La chimica per la casa. Non spendo molte parole, dopo aver letto l’ottima presentazione che si trova su questo tema sul sito di Chimicare, alla quale rinvio nella certezza di non saper fare di meglio. Nel mio piccolo, integro le considerazioni di Franco Rosso coordinatore di Chimicare (che dedica una sezione del sito proprio alla Chimica di casa, con numerosi articoli in tema che automaticamente diventano un sottoinsieme di questo Carnevale) sul fatto che in casa nostra non entrano più sostanze pure, ma complesse formulazioni di decine di componenti, ricordando una buffa canzone milanese da osteria e da cabaret, che ebbe un certo successo negli anni ’60, e che fu interpretata dai Gufi, da Enzo Jannacci e, in modo surreale, da un Giorgio Gaber accompagnatore alla chitarra di un grande protagonista della Milano che fu, l’oste e musicista Luciano Sada, detto “il Pinza”. La canzone è ambientata negli anni Trenta, e racconta di come si potessero guadagnare tanti soldi e comprare una Balilla vendendo per le strade alle massaie soda, liscivia e sapone (spero che mi perdoneranno i non ambrosiani per questa ostentazione di milanesità, che comunque è cosa diversa dalla Milano arricchita e sguaiata di oggi):

Prima ve disi el mestè che fu mi,
inisi i des ur e finisi a mess dì;
vendi la soda, lisciva e saùn,
e de danè ne fu su a muntun.

Giri la baia cul motofurgun,
cun la candegina, paieta e pantun;
fu una pignata de card de mila,
me saltà in ment de cumpra' la Balilla.


Non era ancora venuto il tempo dei detersivi che lavano più bianco, dei fustini scambiati o degli uomini in ammollo (Franco Cerri, grandissimo chitarrista jazz).

Lasciamo però il vernacolo, perché è arrivato il momento di presentare i numerosi contributi che sono giunti, non tutti in tema, ma tutti di buon livello.


La chimica per la casa

Inizio con un articolo del giovane divulgatore (futuro giornalista scientifico?) Gabriele Giordano di Era Futura, che ritiene (e come dargli torto?) che il sapone sia una delle più grandi invenzioni dell'umanità. Il simpatico solido, più o meno colorato, è il protagonista de L’ode al sapone, di cui vengono ricordate l’origine, la preparazione, l’azione e l’uso ludico grazie alle bolle.

Sempre il sapone è il protagonista dell’articolo dell’amica Bruna Vestri, celebre e acuta commentatrice (con un perfido nomignolo) dei principali blogger scientifici e da qualche tempo blogger lei stessa su Al tamburo riparato con l’altro amico Juhan. Scrive Bruna: “Il nostro non è un blog specialistico o scientifico, ci limitiamo a raccontare con parole semplici le nostre esperienze quotidiane, per questo pensiamo che Bolle di sapone possa rientrare nel tema, cioè nella chimica in cui ci imbattiamo in ogni casa quotidianamente”.

Francesco Neve, professore universitario di Chimica inorganica all'Università della Calabria, ha aperto quest’anno, in occasione delle celebrazioni dell'anno internazionale della chimica, il blog Un anno di chimica, nel quale si occupa di questioni che riguardano la Chimica (principalmente) o le scienze in genere ed il loro rapporto con la società. Per questo Carnevale, su mia pressante richiesta, propone Acqua di famiglia, un articolo di buon valore letterario, sospeso tra scienza, ricordi di famiglia e con un mistero finale.

Sempre bravissima, Annarita Ruberto segnala un articolo comparso sul suo blog Scientificando, nel quale tratta de La Chimica… Domestica cogliendo l’occasione per ribadire l’importanza della Chimica e sfatare la leggenda la che vuole come qualcosa da evitare assolutamente. Alla sua genesi ha contribuito da sempre l'ignoranza e la cattiva disposizione sia dei media che dei nostalgici del "buon" tempo antico che contrappongono i prodotti "naturali" a quelli "artificiali"! Ma è sufficiente soffermarsi a riflettere soltanto un po' per rendersi conto che sono ben poche le sostanze usate dall’uomo così come si trovano in natura. Anche questo contributo sarebbe stata un’ottima introduzione per il Carnevale!

Per Scienza e Musica, Leonardo Petrillo invia un articolo in stile decisamente petrilliano. Il titolo è L'indaco e i blue jeans, in quanto è inerente la sostanza colorante indaco, utilizzata per tingere i blue jeans, sintetizzata per la prima volta da Bayer nel 1880. Il tutto è corredato da immagini che rimandano al colore "blu" e da video musicali che lo richiamano. La scelta di questi ultimi è testimonianza che Leonardo , oltre che promettente studente, è anche un appassionato di musica di gran gusto.

Un articolo decisamente in tema ci arriva da Science for Passion, dove la passione scientifica di Tania Tanfoglio ha coinvolto questa volta 17 giovanissimi collaboratori, gli allievi della classe II C della Scuola Media “Giovanni XXIII” di Pontevico (Bs)! L’entusiasmo della classe, trascinata da una altrettanto entusiasta prof, ha costruito sulla rete La casa dei giovani chimici, attraverso lavori di gruppo dedicati alla chimica in cucina, in bagno, in salotto, in camera da letto e in cantina, sfociati in cinque bellissime presentazioni. Bravissimi!

Rimaniamo con le eccellenze scolastiche, questa volta nella Scuola Primaria. Maestra Rosalba (Rosalba Cocco) su Crescere Creativamente ha voluto giocare con le rime, memore di quanto è stato difficile in passato parlare di chimica alla scuola Primaria. La chimica “cucinata” per la scuola Primaria parte dall’idea che con pochi semplici strumenti, presi in prestito dalla cucina, possiamo, senza trucchi né inganni, far capire ai bambini, attraverso il gioco, proprio i principi di base della materia. Rosalba ha scritto una filastrocca per ricordarci che, a volte, per catturare l'attenzione dei bambini basta giocare con le parole e le rime. E l'unica vera magia sarà averli resi partecipi e attori dell'attività.

Dedicato alla cucina è anche il contributo inviato da Paolo Albert da Chimica sperimentale. Paolo, in occasione del Carnevale, tratta in L'olio d'oliva del barone Arthur von Hubl il saggio dell’imperial–regio barone sulla metodologia per la determinazione del Numero di iodio per l'olio di oliva, che è un metodo per conoscere il grado di insaturazione (presenza di doppi legami) di una sostanza grassa, principalmente di un olio. Fedele alla natura sperimentale del blog, il metodo viene riproposto, con spirito vintage e divertimento, con attrezzature e ingredienti disponibili all’epoca.

Paolo Pascucci, su Questione della decisione ci spiega Come si fa una matita ovvero chimica della grafite, un articolo che parte da un oggetto comune per affrontare in generale gli stati allotropici del Carbonio, tra i quali il fullerene è quello più ricco di promesse future. Paolo ci invia anche La Tavola periodica degli elementi interattiva di grande valore pedagogico tratta dalla Royal Society of Chemistry, per non dimenticare lo schema più importante per ogni chimico e forse uno dei più importanti della storia della scienza.

Concludo questa prima parte con il mio contributo, tratto dal presente blog Popinga, sul quale proprio ieri ho pubblicato Scioglimi il calcare, articolo dedicato all’eterna lotta contro le incrostazioni di carbonato di calcio e di magnesio che affliggono tutti i posti nei quali circola acqua dura. Per questo motivo si usano prodotti chimici che riducono l’effetto delle acque dure e migliorano le proprietà lavanti dell’acqua, rimuovendo o mascherando l’effetto degli ioni dissolti. Si tratta di polveri o tavolette, con diverse denominazioni commerciali, formulati in modo da associare diverse azioni che operano in modo sinergico. Tecnicamente essi agiscono attraverso tre meccanismi fondamentali: lo scambio ionico, la neutralizzazione e la sospensione.


Altre chimiche

Il sempre presente e poliedrico Gianluigi Filippelli, di Dropsea segnala il suo La matematica del Nobel per la Chimica 2011: il Nobel per la Chimica quest'anno è stato assegnato per la scoperta dei quasicristalli. Nell'articolo, Gianluigi ci racconta la matematica alla base dei quasicristalli, ma anche alcuni dei punti salienti dell'articolo da Nobel di Daniel Shechtman.

Un contributo curioso e interessante ci giunge dalla simpatica Carla Citarella, operatore artistico, progettista per decorazioni di interni, che, su Atelier delle attività espressive, ci parla, in L'espressione plastico-manipolativa: materiali e tecniche, dei materiali facili da manipolare e modellare: creta o argilla, plastilina, Das e pasta di sale, che offrono un'entusiasmante esperienza sensoriale e di apprendimento, in grado di stimolare sia nel bambino che nell’adulto la propria creatività: le mani si muovono e grazie al loro calore, la materia prende la forma desiderata.

Il contributo senza dubbio più divertente ce lo manda Piero Patteri di Papersera, che non si limita a segnalarci un articolo, ma ci invia una straordinaria discussione, con molti interventi, sulla chimica nelle storie disneyane. Piero ha fondato per l’occasione l’ISTOCCHÈ (IStituto TOpolinense Composti CHimici Eccetera) dove collezionare, classificare e studiare tutti i vari composti chimici apparsi nelle storie disneyane, come l’ultraghiaccio o il bombastium. Il forum è un work in progress e sarà bene seguirlo ben oltre la data odierna.

L’amico Peppe Liberti invia un contributo da Rangle nel quale ricorda i cento anni della prima Solvay Conference, la prima conferenza internazionale nelle storia della scienza, organizzata da Ernest Solvay, un chimico belga divenuto ricchissimo con la produzione industriale della soda, alla quale presero parte, tutti insieme, personaggi come de Broglie, Rayleigh, Rutherford, Planck, Sommerfeld, Brillouin, Mme Curie, Langevin, Poincaré, Einstein, Van der Waals e altri ancora. Fu un evento fondamentale per gli sviluppi della scienza del Novecento, ma allora le conferenze erano luoghi di dibattito, anche acceso, e non di noiosa presentazione e turismo congressuale: Cent’anni e sentirli tutti.

Concludo la rassegna dei contributi al Carnevale con quello di Aldo Piombino comparso su Scienze e dintorni. Aldo presenta Ridurre l'inquinamento atmosferico con il nanobiossido di titanio e uno strumento tutto italiano per testare l'efficienza del processo, nel quale ci descrive una nuova vernice basata sulle nanotecnologie in grado di ridurre gli inquinanti dell’aria e uno strumento ideato da un’azienda toscana in grado di testare il processo per migliorarne le prestazioni.


Un risultato della ricerca italiana, in questi tempi di vacche magre, mi sembra anche il miglior modo per salutarvi, ricordandovi che il Carnevale della Chimica n. 11 si terrà il 23 novembre prossimo su Dropsea di Gianluigi Filippelli con il tema "Le donne nella chimica", in occasione dell'anniversario della nascita di Marie Curie.

(I dipinti che illustrano il Carnevale sono del pittore cileno Roberto Sebastian Matta, 1911-2002)

sabato 22 ottobre 2011

Scioglimi il calcare

Acqua dura o acqua chiara?

Nei paesi sviluppati l’acqua del rubinetto è pura, nel senso che è potabile e non contiene microorganismi che possono compromettere la salute. In senso chimico, tuttavia, l’acqua che beviamo o usiamo per lavare i panni o i piatti non è mai pura, cioè non è costituita da un solo tipo di molecola, perché contiene piccole quantità di altre sostanze, che vengono disciolte durante lo scorrimento in superficie oppure nel sottosuolo. Per rendersene conto, se non si dispone dei dati forniti dagli enti o dalle società che gestiscono gli acquedotti, è sufficiente dare un’occhiata all’etichetta delle acque vendute in bottiglia che chiamiamo, impropriamente, acque minerali, e che, in genere, non hanno caratteristiche molto diverse da quelle dell’acqua che sgorga dai rubinetti della cucina o del bagno.

Le sostanze disciolte nell’acqua possono condizionare in modo notevole la sua efficacia pulente, ad esempio quando è impiegata nelle lavatrici o nelle lavapiatti. L’acqua che contiene grandi quantità di minerali disciolti viene chiamata dura.


La durezza di un'acqua è un valore che dipende dal suo contenuto di ioni calcio Ca2+ e magnesio Mg2+, che sono le sostanze che, se presenti in quantità eccessiva, determinano più inconvenienti. Infatti, per riscaldamento, essi possono dare luogo a composti che si depositano sugli elementi elettrici usati per scaldare l’acqua, provocando incrostazioni particolarmente dannose. Inoltre gli ioni metallici in soluzione reagiscono con il sapone e con gli altri detergenti formando schiuma, che riduce il potere pulente e si deposita sugli oggetti da lavare.

Per questo motivo si usano prodotti chimici o processi fisici che addolciscono l’acqua. Nelle nostre case si adoperano prodotti che riducono l’effetto delle acque dure e migliorano le proprietà lavanti dell’acqua rimuovendo o mascherando l’effetto degli ioni dissolti. Si tratta di formulazioni varie, vendute sotto forma di polveri o tavolette, con diverse denominazioni commerciali. Il loro utilizzo consente di risparmiare fino al 40% della quantità di detersivo consigliata dal produttore, che in genere dipende dalla durezza dell’acqua: maggiore è la durezza, più detersivo va usato.


Prima di giungere al luogo in cui viene prelevata, l’acqua, nel suo ciclo, può impiegare un tempo che varia da zero (pioggia che cade direttamente sul bacino in cui viene raccolta) a migliaia d’anni, se il percorso è lungo e l’acqua si accumula in una falda sotterranea. In questo periodo le sostanze che compongono le rocce attraversate hanno il tempo di sciogliersi in quantità variabile. La durezza dell’acqua varia inoltre da luogo a luogo, perché dipende in gran parte dalla natura delle rocce attraversate. Non è un caso che le acque più dure si trovino proprio dove maggiore è la presenza di calcari e marmi, rocce formate da carbonato di calcio CaCO3, che è insolubile nell’acqua pura, ma che con l’acqua piovana, che contiene in soluzione diossido di carbonio CO2 ed è perciò leggermente acida, dà luogo alla seguente reazione, in cui si produce idrogenocarbonato di calcio (bicarbonato di calcio):

CaCO3 + H2O + CO2 ↔ Ca2++ 2HCO3¯    (1)

Una reazione simile avviene con il carbonato di magnesio. È da notare che si tratta delle stesse reazioni che danno origine alle stalattiti e alle stalagmiti nelle grotte presenti nelle rocce calcaree in zone ricche di acqua.


L’acqua piovana è naturalmente acida a causa del diossido di carbonio CO2 disciolto, che è normalmente presente nell’aria e prende parte agli equilibri:

H2O + CO2 ↔ HCO3¯ + H+↔ H2CO3   (2)

in cui è presente l’acido carbonico H2CO3. Purtroppo l’inquinamento atmosferico e il riscaldamento globale stanno aumentando la presenza nell’aria di diossido di carbonio e altre sostanze che, una volta in soluzione nell’acqua piovana, ne aumentano l’acidità. Si tratta del fenomeno noto come piogge acide, che hanno gravi conseguenze dirette e indirette sugli ecosistemi.

Anche altri sali di calcio, come il solfato CaSO4, presente in rocce comuni come le anidriti, possono contribuire alla durezza dell’acqua. In questo caso l’acidità non gioca un ruolo importante:

CaSO4↔ Ca2+ + SO42‒    (3)

Durezza temporanea e permanente

La reazione (1) è esotermica verso destra, e ad alte temperature l’equilibrio si muoverà in direzione contraria, cioè verso la creazione di carbonato di calcio. E’ ciò che accade nelle pentole in cui facciamo bollire l’acqua per gli spaghetti, nei bollitori, nelle macchine per lavare i piatti e nelle lavatrici, in cui si deposita ciò che chiamiamo “calcare”. Esso nelle lavatrici diminuisce, il trasferimento di calore dall’elemento di riscaldamento, la serpentina, all’acqua, rendendo meno efficiente il processo di lavaggio. Il calcare si può anche depositare sulle fibre dei panni nella lavatrice, infeltrendoli e ostacolando il lavaggio.


Poiché con il riscaldamento dell’acqua (oltre gli 80° C) gli ioni calcio vengono rimossi dalla soluzione  precipitando sotto forma di carbonato di calcio, il tipo di durezza nella quale lo ione negativo è rappresentato dallo ione idrogenocarbonato è chiamato durezza temporanea. La durezza causata dai sali di calcio (e magnesio) diversi dallo ione idrogenocarbonato non dipende dal calore, e perciò viene chiamata durezza permanente, che esprime la quantità di cationi rimasti in soluzione dopo ebollizione prolungata.

Detto in altro modo, la durezza totale è data dalla somma della durezza temporanea e di quella permanente.

La durezza viene generalmente espressa in gradi francesi (°f), dove un grado rappresenta 10 mg di carbonato di calcio per litro di acqua (1 °f = 10 mg/l = 10 ppm - parti per milione). Le acque vengono classificate in base alla loro durezza in questo modo:

· fino a 7 °f: molto dolci
· da 7 °f a 14 °f: dolci
· da 14 °f a 22 °f: mediamente dure
· da 22 °f a 32 °f: discretamente dure
· da 32 °f a 54 °f: dure
· oltre 54 °f: molto dure


Arrivano i nostri…

I prodotti usati per ridurre gli effetti delle acque dure sugli apparecchi per il lavaggio sono formulati in modo da associare diverse azioni che operano in modo sinergico. Tecnicamente essi agiscono attraverso tre meccanismi fondamentali: lo scambio ionico, la neutralizzazione e la sospensione.

Scambio ionico – Avviene mediante sostanze in grado di fissare gli ioni calcio e magnesio che sono disciolti nell’acqua, scambiandoli con ioni della loro struttura, come ad esempio lo ione sodio Na+ o lo ione potassio K+. Per questo scopo si usano le zeoliti, tectosilicati la cui struttura microporosa presenta un gran numero di cavità e canali che conferiscono loro una superficie enorme in rapporto al volume. Le zeoliti sono costituite da un reticolo di ioni silicio legati da atomi di ossigeno. Alcuni degli ioni silicio Si4+ sono sostituiti da ioni alluminio, che sono trivalenti. Così, per mantenere neutra la struttura, ciascun ione Al3+ deve essere associato a uno ione monovalente, di solito il sodio Na+. Questi ultimi possono essere scambiati con gli ioni calcio e magnesio presenti nell’acqua.

Per il bilanciamento, due ioni Na+ sono scambiati con ciascun ione Ca2+ o Mg2+. Così le zeoliti sono in grado di rimuovere gli ioni calcio e magnesio dall’acqua di lavaggio, fissandoli nella struttura della zeolite.

Neutralizzazione – Essa agisce isolando gli ioni calcio dalla soluzione, in modo che l’equilibrio della reazione (1) non vada verso sinistra con il deposito di carbonato di calcio.

Gli ioni calcio possono essere isolati utilizzando un agente complessante, cioè uno ione carico negativamente che si avvolga attorno al Ca2+ formando con esso legami di coordinazione e rimuovendolo in pratica dalla soluzione. Uno degli agenti complessanti più utilizzati nei prodotti anticalcare è il citrato di trisodio, spesso scritto Cit3+ per brevità.

I tre O¯ possono girare attorno a uno ione calcio Ca2+ e avvilupparlo, “sequestrandolo” dalla soluzione. Essi sono attirati elettrostaticamente verso il catione e utilizzano la coppia di elettroni del loro ultimo livello per formare con esso dei legami dativi. Lo ione complesso che si forma è anch’esso solubile. L’azione dell’agente complessante è di tenere sciolto nell’acqua lo ione calcio (o lo ione magnesio) impedendo che si depositi come carbonato di calcio.

Un altro agente complessante di largo impiego è il trifosfato pentasodico Na5P3O10, che forma lo ione per perdita degli ioni Na+. A basse concentrazioni, esso forma sali insolubili di trifosfato, ad esempio Ca5(P3O10)2, che precipitano:

2Na5P3O10 + 5 Ca2+ →  Ca5(P3O10)2 + 10 Na+

Ad alte concentrazioni, invece, il trifosfato pentasodico forma un complesso solubile:

Na5P3O10 + Ca2+ →  [Ca P3O10]3‒ + 5Na+

È perciò importante che la concentrazione del trifosfato pentasodico sia sufficiente a formare il complesso solubile piuttosto che il sale insolubile.

In molti paesi l’uso di fosfati nei prodotti per il lavaggio è limitato, perché ad alte concentrazioni possono causare l’eutrofizzazione, cioè lo sviluppo eccessivo di vegetali nei corsi d’acqua, con conseguente consumo di ossigeno e anossia che uccide la fauna acquatica. Per questo motivo i produttori, furbacchioni, tarano la composizione dei loro prodotti anticalcare in funzione della legislazione presente nei diversi stati.

Molti detersivi agiscono meglio in soluzione piuttosto alcalina. Ciò accade perché le sostanze alcaline emulsionano i grassi reagendo con gli acidi grassi insolubili per formare sali ionici solubili. Nella figura si vede il meccanismo con il quale gli acidi grassi insolubili reagiscono con gli ioni idrossido e sono rotti in ioni solubili che poi formano sali ionici.


Le sostanze alcaline inoltre proteggono le parti metalliche delle lavatrici dalla corrosione acida e contribuiscono a ridurre la rideposizione dello sporco rimosso, “coprendo” le particelle con gli ioni OH¯ carichi negativamente, per cui esse si respingono a vicenda per repulsione elettrostatica, impedendo che si formino aggregati che tendono a precipitare invece di rimanere in sospensione.

Sospensione – Un altro importante ingrediente nei prodotti in commercio per addolcire l’acqua di lavaggio è il policarbossilato (poliacrilato), che è un polimero di addizione dell’acido acrilico (acido profenoico). Esso può complessare gli ioni metallici nello stesso modo in cui agiscono gli ioni citrato.

In soluzione, i gruppi COOH del polimero sono sotto forma di ioni COO¯, che possono formare un rivestimento attorno alle molecole di carbonato di calcio che si sono formate nella miscela di lavaggio e tenerle in sospensione, evitando chi si depositino all’interno degli apparecchi o sulle fibre dei vestiti. L’effetto è simile a quello complessante degli ioni trifosfato sul Ca2+, ma essendo più grandi le molecole del polimero, esse possono tenere in sospensione degli aggregati più grandi.


martedì 18 ottobre 2011

Bo

In anni lontani, in uno “storico bar” di Alessandria, i cattivi studenti passavano le ore a giocare a Majong, un gioco praticato nel Celeste Impero e, curiosamente, anche in quello storico bar di Alessandria. Il Majong è un gioco da tavolo per quattro giocatori, in cui si guadagnano punti creando opportune combinazioni di tessere e rimuovendole dal gioco. Chi ha la posizione detta “Vento dell’Est” gode di una posizione di vantaggio.

Uno dei perdigiorno impegnati in tali ludi orientali, una volta raggiunta la privilegiata condizione di pensionato in buona salute, decise di mettere a disposizione degli altri la sua saggezza di tuttologo e di aprire un blog che chiamò, appunto, Soffia il vento dell’est. Un tuttologo, per definizione, si occupa di tutto, perché di tutto sa quel poco sufficiente per sostenere una discussione, al contrario di un povero specialista, che il più delle volte è costretto a star zitto perché sa tutto di poco e nulla del resto.

Scrivere di tutto è una vocazione per la quale ci vuole talento: bisogna aver molte cose da raccontare, è necessario essere aggiornati su ciò che succede, ci vuole una certa maestria per dire le cose senza annoiare il lettore. Erano tutte doti che il pensionato alessandrino, ex giocatore di Majong, aveva sviluppato nel corso di una vita invidiabile scandita da viaggi, di lavoro e di piacere, in ogni parte del mondo (ma proprio tutto), facendo mestieri che avevano valorizzato la sua naturale tendenza al rapporto umano.

Nel suo blog, che progressivamente si allargava da pochi intimi a una cerchia sempre più ampia di lettori (me compreso), l’alessandrino, che per semplicità chiameremo Enrico Bo, scriveva, ovviamente, di tutto: le vicende fantascientifiche ma reali dell’imprenditore Paularius, tiranno del pianeta Surakhis; il significato degli ideogrammi cinesi e la poetica libertà di quella lingua; le sue avventure nei paesi dell’est europeo prima, durante e dopo il crollo della “cortina di ferro”; i ricordi di viaggi nelle altre parti del mondo; le sue intelligenti considerazioni sull’attualità politica e scientifica; lo smascheramento di allarmismi ingiustificati e luoghi comuni in tema di nuove tecnologie applicate alla produzione alimentare, eccetera, eccetera. Il tono e lo stile erano quelli di un’amichevole chiacchierata tra amici, una delle migliori forme di trasmissione di cultura, esperienza e calore umano.

Consapevole che un blog è spazio troppo ristretto quando si hanno tante cose da dire, convinto che le parole hanno bisogno di essere assaporate lentamente come un buon bicchiere di cognac e non consumate nella fretta imposta dalla pagina elettronica, il nostro protagonista, che continuiamo a chiamare Enrico Bo per comodità espositiva, un giorno decise di raccogliere su carta i primi due anni di articoli di Soffia il vento dell’est, e ne fece un libro che intitolò come il sunnominato blog.

Il libro è tra le mie mani, un tomo di 384 pagine con una bella copertina tratta da una foto dello stesso autore, che mi ostino a chiamare Enrico Bo, forse per affinità intellettuale. La sua lettura ha accompagnato la mia estate, sera dopo sera. È facile da leggere, per il brio, il linguaggio adottato e per la struttura, che permette anche una lettura non continuativa e lo spiluccamento goloso. Mi è piaciuto molto, e mi sento di consigliarlo a tutti coloro che, come me, vogliono immergersi in storie vere, raccontate con intelligenza e garbo.


venerdì 14 ottobre 2011

Your friends are going to the cinema

Una cosa che non ho mai capito della lingua inglese, o, meglio dello studiare l'inglese, è il motivo arcano per il quale i tuoi amici stanno andando al cinema (o hanno intenzione di andarci) e non ci entrano mai, da quarant'anni. Davano Soldato blu e loro stavano andando al cinema, più tardi stavano ancora andando al cinema ma si sono arenati nella scelta tra La donna in rosso o Sister Act. Si sono persi tutto Ken Loach, Von Trier, Tarantino, Herzog, Scorsese, Polanski e loro sono ancora lì che stanno andando al cinema. Non sanno neanche che il cinema ha chiuso ed è stato trasformato in un parcheggio multipiano e che tu sei morto nel 2003 in un incidente stradale mentre andavi al cinema, senza di loro.



giovedì 13 ottobre 2011

Ritornare a Parmenide

ResearchBlogging.orgSono certo che il titolo di questo articolo potrà sorprendere i lettori che vedono il simbolo di Research Blogging qui accanto, ma mi è sembrato simpatico utilizzare il titolo dell’opera più famosa e controversa del filosofo italiano Emanuele Severino, del 1964, per rendere quello dell’articolo Parmenides Reloaded dell’argentino Gustavo E. Romero, professore di Astrofisica relativistica all’Università di La Plata e Capo Ricercatore del CNR della nazione sudamericana. Degli argentini amo molte cose, tra le quali senza dubbio la capacità di sorprendere con pensieri che solo la loro terra sa suscitare (non è un caso che il realismo fantastico ha trovato intorno al Rio del Plata una sua terra letteraria d’elezione). L’argomento scelto dallo studioso d’oltreoceano, nella sua originalità, ha suscitato la mia curiosità, che spero ti poter trasmettere al lettore.

Romero sostiene infatti una visione quadridimensionale, non dinamica, dello spazio-tempo, in cui il divenire non è una proprietà intrinseca della realtà. Questa idea presenta molti aspetti in comune con la concezione parmenidea dell’universo. Prima di seguire le argomentazioni dell’astrofisico argentino è utile tuttavia un piccolo ripasso di filosofia.

Parmenide di Elea (fine VI sec. a.C. - prima metà V sec. a.C.) è stato uno dei principali filosofi presocratici. Il suo pensiero era guidato dalla ricerca della Verità come metodo filosofico, in contrapposizione all’opinione, cioè al pensiero comune. Egli sosteneva che lo strumento che permette di cogliere e definire la verità è il ragionamento rigoroso, il puro procedimento logico che si esprime in un linguaggio esatto, basato sui principi di identità e non-contraddizione, mentre l'opinione si costruisce sul riferimento superficiale ai dati sensibili, che dà origine a una conoscenza e un linguaggio contradditori. Non si tratta di privilegiare una conoscenza meramente formale, perché il pensiero logico racchiude la realtà del proprio contenuto: “la stessa cosa infatti sono il pensare e l'essere”, perché pensare il nulla, il non-essere, è impossibile.

Così la realtà, argomenta l’eleate, deve necessariamente essere pensata come pienezza ed esclusività dell'essere: l'opinione, che identifica la realtà con la molteplicità degli enti sensibili e con il loro divenire, è illogica, in quanto suppone che il non-essere possa essere pensato. Infatti, se il non essere non è, non può inframmezzarsi all'essere e dividerlo in parti; né può essere qualcosa da cui l'essere sorga o in cui si dissolva. Sia la molteplicità, sia il divenire implicano il riferimento al non-essere. Al contrario, l'unica realtà pensabile (e quindi l'unica necessariamente esistente) è quella che si identifica totalmente con l'essere e che, per conseguenza si deve concepire come unica ingenerata e incorruttibile, indivisibile e immobile, omogenea e compiuta ''come la massa di una sfera''. In poche parole: Ciò che è, è e Ciò che non è, non è, senza via di mezzo.

Se il divenire dell'essere è quindi un'opinione senza verità, un'apparenza illusoria che inganna gli uomini, l'essere non è mai nato, né mai morirà, cioè è eterno e non può essere stato creato ex-nihilo. Per la stessa ragione non possiamo accettare il fatto che l'essere si muova, perché per farlo dovrebbe passare da un luogo ad un altro e muoversi in un elemento, lo spazio vuoto, il non essere, che permetta lo spostamento e ciò è logicamente contraddittorio. L’universo di Parmenide è unico, eterno, non generato, omogeneo, perfetto in sé, senza movimento e senza mutamento.

Torniamo ora alle argomentazioni di Gustavo E. Romero. Egli esordisce dicendo che lo scopo della teoria fisica è quello di rappresentare la realtà. Un presupposto basilare della scienza è che nel mondo esistono le cose, e che esse possiedono proprietà. Le proprietà possono essere rappresentate da funzioni matematiche e altri oggetti astratti inventati secondo regole autoconsistenti. Il valore delle funzioni e la struttura degli oggetti matematici della teoria sono determinati da equazioni e condizioni matematiche che rappresentano leggi fisiche. Quando cambiano le proprietà delle cose, si dice che c’è un evento. Un evento è specificato da una collezione di valori di funzioni stato. Ovviamente, la caratterizzazione di una cosa non è unica. Uno specifico modello di una cosa dipende dagli aspetti della realtà che sono considerati dalla teoria. La successione di eventi (o processi) che interessano una cosa costituisce la sua storia.


Una qualsiasi teoria fisica si riferisce a qualche tipo di enti concreti. L’esistenza di questi enti è assunta dalla teoria. Se la teoria si dimostra valida, aumenta la credibilità dell’esistenza di questi enti. Se, viceversa, la teoria fallisce, gli enti postulati possono essere considerati solo ipotesi esplorative, che possono essere abbandonate. Il tipo di oggetti che le teorie fisiche assumono come elementi del mondo possono cambiare man mano che evolve la nostra conoscenza del mondo. Tutti gli esseri viventi, le particelle elementari, i pianeti e le stelle, la nostra stessa visione dell’universo possono cambiare, cambiando la nostra concezione dell’esistente, di come sono le cose, di come sono collegate.

La gravità generale, formulata da Albert Einstein nel 1915, è una teoria estremamente complessa ed efficace, in cui il campo gravitazionale è descritto come curvatura dello spazio-tempo. Le equazioni del campo sono dieci equazioni differenziali non lineari nei coefficienti del tensore metrico dello spazio-tempo. La teoria raggiunge il suo massimo potere predittivo quando viene espressa indipendentemente dalle coordinate, nel linguaggio della geometria differenziale astratta, nella formulazione nota come varietà quadridimensionale dello spazio-tempo.

Il concetto fondamentale di questa formulazione della relatività generale è il concetto di spazio-tempo, introdotto da Hermann Minkowski nel 1908. Lo spazio-tempo può essere definito come la somma ontologica di tutti gli eventi di tutte le cose. Non si tratta di un mero insieme, che è un oggetto matematico, sostiene Romero, ma una proprietà relazionale emergente di tutte le cose. Tutto ciò che è accaduto, tutto ciò che accade, tutto ciò che accadrà, è solo un elemento dello spazio-tempo.

Come per ogni proprietà fisica, possiamo rappresentare lo spazio-tempo con una qualche struttura matematica che sia in grado di descriverla. La struttura matematica e la proprietà rappresentata non devono tuttavia essere confuse: la corrispondenza non è mai perfetta. Il modello multidimensionale dello spazio-tempo adotta la seguente struttura:

Lo spazio-tempo può essere rappresentato da una varietà topologica
reale, quadridimensionale, differenziabile, liscia

Ogni evento è rappresentato da un punto della varietà (l’inverso non è necessariamente vero). Ogni elemento della struttura rappresenta un evento. Adottiamo le 4 dimensioni perché sembra sufficiente fornire 4 numeri reali per localizzare un evento (cioè per fornire una caratterizzazione minima). È sempre possibile fornire un insieme di 4 numeri reali per ogni evento, è ciò si può fare indipendentemente dalla geometria intrinseca della varietà. Se esiste più di una singola caratterizzazione di un evento, si può sempre trovare una legge di trasformazione tra i diversi sistemi di coordinate. Ciò è una proprietà fondamentale delle varietà.

Il modello adottato per lo spazio-tempo assume alcuni enti che sono rappresentati matematicamente. Nel nostro caso l’assunzione fondamentale è l’esistenza di ciò che viene rappresentato dai punti della varietà: la totalità degli eventi, i cambiamenti di tutte le cose e, perciò, tali cose, poiché non ci sono cambiamenti senza cose che cambino.

Siccome la varietà è a 4 dimensioni, un processo, o persino l’intera storia di una cosa tridimensionale, possono essere rappresentati da un oggetto quadridimensionale. Una volta adottato, il modello costituito da una varietà quadridimensionale ci consente di descrivere lo spazio-tempo da un punto di vista quadridimensionale, dove non esiste alcun cambiamento globale. Un cambiamento nello spazio-tempo richiederebbe una dimensione supplementare, non inclusa nel modello, per la quale, secondo Romero, non esiste alcuna ragione fisica.

Sequenze di cambiamenti e processi irreversibili degli oggetti fisici sono descritti come asimmetrie, caratteri intrinseci, dello spazio-tempo. La dinamica è il risultato del confronto di diverse sezioni dello spazio-tempo. Il “presente” non si muove. Il tempo non scorre, perché è una proprietà relazionale intrinseca dello spazio-tempo.


Molti secoli dopo Parmenide, sappiamo che il cambiamento può avvenire anche in un universo pieno: le teorie dei campi hanno reso inutile il paradosso del non-essere necessario al movimento dell’essere. I punti della struttura matematica quadrimensionale rappresentano eventi, ma non esiste alcun cambiamento che interessi lo spazio-tempo nel suo insieme. Lo spazio-tempo quadridimensionale, rappresentato matematicamente dalla varietà descritta da Romero, è invariabile, eterno, privo di moto, unico, proprio come l’universo di Parmenide. I processi irreversibili sono descritti da asimmetrie nella varietà. Gli oggetti che popolano l’universo sono a 4 dimensioni. Essi possiedono “parti temporali” come parti spaziali. In questo modo, afferma l’astrofisico argentino, i bambini che siamo stati sono solo parte di enti più grandi, noi, a 4 dimensioni. Ciò che chiamiamo nascita e morte sono solo limiti temporali di tali enti.

Parmenide è ritornato, a quattro dimensioni. In questa ottica, aggiungerei io seguendo il pensiero di Emanuele Severino, Parmenide c’è sempre stato, perché “ciò che è, è per sempre”.

Gustavo E. Romero (2011). Parmenides reloaded Foundations of Science arXiv: 1109.5134v1

mercoledì 5 ottobre 2011

Ricucire l’Italia

Volentieri rilancio un invito di civiltà.

Come si ricuce l’Italia? Un filo di decenza ci porta in piazza, sabato 8 ottobre, all’Arco della Pace (piazza Sempione) di Milano, a partire dalle 14.30, per reagire all’indignazione. Una grande manifestazione, nel cuore della città, per dare spazio a quanti, ago e filo in mano, vogliono un abito dignitoso per il paese.
Presenta
Luisella Costamagna
con un saluto del sindaco di Milano Giuliano Pisapia
e sul palco, con Gustavo Zagrebelsky e Sandra Bonsanti
i giornalisti Marco Travaglio, Lirio Abbate, Claudio Fava, Michele Serra e Franco Siddi segretario Fnsi; i costituzionalisti Lorenza Carlassare e Valerio Onida, gli storici Paul Ginsborg e Salvatore Veca; gli ex magistrati Bruno Tinti e Giuliano Turone, che presenterà un brano dello spettacolo di teatro civile La diritta via, la Costituzione e Dante Alighieri senza distinzione di razza né lingua;
Ci saranno inoltre, la filosofa Roberta De Monticelli e il sociologo Marco Revelli, lo scrittore Corrado Stajano, Massimo Donadi per il comitato referendario, Stefano Pareglio, Elisabetta Rubini e Simona Peverelli per Libertà e Giustizia, Onorio Rosati per la Camera del lavoro di Milano , Carlo Smuraglia per l’Anpi. Nel corso della manifestazione sarà proiettato un contributo video di Moni Ovadia, che, nel rispetto della festività ebraica di Yom Kippur non sarà presente sul palco. 
Paolo Limonta dei Comitati X Milano, Emanuele Patti di Arci Milano, Assunta Sarlo per Usciamo dal Silenzio, Edda Boletti delle Girandole
Il bisogno di partecipazione e rappresentanza politica deve farsi largo nelle strutture sclerotizzate della politica del nostro Paese.
Libertà e Giustizia si riconosce nel MANIFESTO firmato da Gustavo ZAGREBELSKY e nato nel corso del seminario di studi a Poppi
“Noi proviamo scandalo per ciò che traspare dalle stanze del governo. Ma non è questo, forse, il peggio. Ci pare anche più gravemente offensivo del comune sentimento del pudore politico un Parlamento che, in maggioranza, continua a sostenerlo, al di là d’ogni dignità personale dei suoi membri che, per “non mollare” – come dicono –, sono disposti ad accecarsi di fronte alla lampante verità dei fatti e, con il voto, a trasformare il vero in falso e il falso in vero, e così non esitano a compromettere nel discredito, oltre a se stessi, anche le istituzioni parlamentari e, con esse, la stessa democrazia”.
Aderiscono alla manifestazione: Anpi Nazionale, Arci Milano, Camera del Lavoro di Milano, Circoli LeG, Comitati X Milano, Le Girandole, Articolo 21, Cgil nazionale

sabato 1 ottobre 2011

La musa vagabonda di Luciano Folgore

Il poeta Omero Vecchi (1888-1966) aveva mostrato un precoce talento e alcune sue composizioni, in stile e metrica tradizionali, erano state pubblicate da importanti riviste letterarie quando aveva solo quindici anni. Nel 1908, non ancora ventenne, fu attratto dalla sirena marinettiana del Futurismo, partecipando attivamente alle battaglie e ai proclami roboanti del movimento. Soprattutto decise di cambiare nom de plume, e, su consiglio di Marinetti, scelse per sé, da allora e per sempre, il due volte brillante pseudonimo di Luciano Folgore.

Negli anni convulsi e drammatici della Grande Guerra pubblicò raccolte di poesie, scritte nello stile sperimentale e iconoclasta del verbo futurista, ma si fece notare anche per lo spirito birbone con il quale collaborò alle riviste La Voce e Lacerba, dove lanciò tra gli altri futuristi i demenziali versi maltusiani, suoi e di Petrolini, che celebrarono la loro apoteosi nel gustoso Almanacco Purgativo del 1914:

Padreterno è quella cosa
che ti veglia giorno e notte
ma che poi se ne strafotte
delle tue calamità.

Moralista è quella cosa
che del fico vuol la foglia,
ma se poi gli vien la voglia
vuole il frutto e al femminil.

La saliera è quella cosa
che ha la forma di un occhiale;
da una parte ci sta il sale
e dall’altra ci sta il pep.

L’obelisco è quella cosa
che si drizza sulle piazze,
ne van matte le ragazze
perché duro e volto in su.

Sulle trincee fu un massacro, e lo Zang-tumb-tumb stava, lentamente ma inesorabilmente, diventando maniera, da inno giovanile e iconoclasta che era stato. E già Marinetti si stava adattando al ruolo di vice D’Annunzio sull’Altare della Patria culturale. Folgore decise nel 1919 che il Futurismo non faceva più per lui, forse perché si stava istituzionalizzando, forse perché lui era cambiato e incominciava a prevalere in lui quella vena di nichilistico disincanto che lo avrebbe sopraffatto se non avesse reagito con l’arma dell’umorismo. Pubblicò nello stesso anno le poesie futuriste che aveva scritto durante la guerra, ultimo omaggio alla sua stessa giovinezza, tra le quali leggiamo capolavori come Tutta nuda:

Te,
nuda dinanzi la lampada rosa,
e gli avori, gli argenti, le madreperle,
pieni di riflessi della tua carne
dolcemente luminosa.

Un brivido nello spogliatoio di seta,
un mormorio sulla finestra socchiusa,
un filo d'odore,
venuto dalla notte delle acacie aperte,
e una grande farfalla che ignora
che intorno a te
non si bruciano le ali,
ma l'anima.

Folgore lasciò i vecchi amici senza rancori, ma prese una strada diversa. La sua vena umoristica, lieve e giocosa, a volte dissacrante, fece capolino nel volume di racconti Crepapelle (1919), vero spartiacque tra la fase più propriamente futurista e quella umoristica. Si diede poi alle parodie, pubblicando nel 1922 e nel 1926 due raccolte di poesie (Poeti controluce e Poeti allo specchio) scritte “nello stile di” che gli valsero un posticino nel poco affollato Empireo degli umoristi italiani. All’appello della folgoriana attenzione c’erano tutti coloro che riscuotevano all'epoca un certo successo negli ambienti letterari, molti dei quali non dicono più nulla al lettore moderno. Tra i più noti ancor oggi Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Gabriele d'Annunzio, Trilussa, Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Papini, Guido Gozzano, Sibilla Aleramo, Annie Vivanti, Ada Negri, Giuseppe Ungaretti, Aldo Palazzeschi e lo stesso Folgore, che non risparmiava nessuno, a qualunque corrente poetica appartenesse, neppure se stesso.

Il procedimento di Folgore era piuttosto costante: preso il componimento più noto del poeta da parodiare, ne imitava il metro e il contenuto, calandolo a livello del quotidiano e ingigantendo le tematiche del poeta stesso, che erano trasformate in ossessioni, in manie. Così nacque ad esempio L’Alba, in cui prendeva di mira i versi leggeri e dubbiosi di Giovanni Pascoli, trasformati in esitazioni quasi ebeti:

Gli orti di Barga stavano, pervasi
da un lieve freddo, lieve, così lieve
che a dirlo non faceva freddo, quasi.
Brina? Sì, no. V'era un biancor di neve,
un presso a poco, un nulla, una chimera
e qualche schiocco nella strada breve.
A un tratto parve che dal ciel piovesse
un po' di guazza, ma non piovve affatto,
com'uno che dicesse e non dicesse.


La parodia più riuscita è forse La pioggia sul cappello, gioco sulla Pioggia nel pineto dannunziana, in cui Folgore portava all’eccesso le preziosità lessicali e il baule mitologico del poeta pescarese, applicati a una situazione banale come la pioggia che coglie D’Annunzio e la sua donna mentre sono a passeggio per la città:

Silenzio. Il cielo
è diventato una nube,
vedo oscurarsi le tube
non vedo 1'ombrello,
ma odo sul mio cappello
di paglia,
da venti dracme e cinquanta
la gocciola che si schianta,
come una bolla,
tra il nastro e la colla.
Per Giove, piove
sicuramente,
piove sulle matrone
vestite di niente,
piove sui bambini
recalcitranti,
piove sui mezzi guanti
turchini,
piove sulle giunoni,
sulle veneri a passeggio,
piove sovra i catoni,
e, quello ch'è peggio,
piove sul tuo cappello
leggiadro,
che ieri ho pagato,
che oggi si guasta;
piove, governo ladro!
E piove soprattutto
sul tuo cappello distrutto
mutato in setaccio,
che ieri ho pagato
che adesso è uno straccio,
o Ermïone
che scordi a casa 1'ombrello
nei giorni di mezza stagione.

Anche il rarefatto Ungaretti de L’importo sepolto raggiunge risultati esilaranti:

Oggi è sabato,
domani
sarà
domenica,
poi lunedì;
sempre così
e non da ieri.
L'ho detto.
Ora
me ne vado
a letto
volentieri,
perché
sono stanco
di questi
grandi pensieri.

Nel 1935 seguì una raccolta di parodie di prosatori: Novellieri allo specchio. Parodie di D'Annunzio e altri. Fu insomma un precursore degli esercizi di stile di Queneau o, come probabilmente avrebbe detto il francese, un suo “plagiario per anticipazione”.

La pagina scritta era un confine troppo stretto per la sua creatività, così Folgore si cimentò, per tutta la sua carriera conclusasi con la morte nel 1966, anche con il teatro serio, il varietà, i programmi radiofonici per gli adulti e per i bambini (con testi in rima poi raccolti in volume), con la televisione.

Significativa fu la collaborazione con importanti riviste popolari, come il Travaso delle idee, periodico di satira politica e di costume, e, tra il 1918 e il 1954, la Tribuna Illustrata, settimanale di cronaca e opinione che allora rivaleggiava con la Domenica del Corriere. Sulla Tribuna pubblicava poesie ed epigrammi umoristici venati da una certa dose di pessimismo sulla vita e sulla pretesa degli uomini di dare ad essa un senso. Questi scritti erano firmati con lo pseudonimo di Esopino, che Folgore aveva utilizzato per la prima volta per firmare con Petrolini la rivista Zero meno zero nel 1915 (e che negli anni ’50 sarebbe stato utilizzato anche da Gianni Rodari per alcune fiabe di animali nello stile di Perrault).


La prima produzione di Folgore/Esopino per la Tribuna Illustrata fu raccolta in un libretto dal titolo Musa Vagabonda. Gioconda e qualche volta profonda, pubblicato da Campitelli a Foligno nel 1927. Da questa pubblicazione traggo Il mio Aldilà, in cui si manifesta a mio parere il segno dell’umorismo di Folgore: vagabondo, giocondo e qualche volta profondo.

Se morissi una notte all' improvviso
no, non vorrei salire in paradiso.
Il paradiso è un sito
troppo fuori di mano,
un infinito pieno d'infinito,
un lontano lontano, assai lontano.
Giunti lassù si perde la nozione
delle cose terrestri e vi si oblia
oltre il dolore e la malinconia
i fatti, le disgrazie, le persone,
che ci han rotto le scatole e avverrebbe
ch' angeli o santi si perdonerebbe
coloro che ci diedero fastidio
fino al delirio o fino al suicidio.
Invece io chiedo in premio dei miei mali
non la beatitudine, ma il modo
di vendicarmi a fondo di quei tali.
Vorrei morto di fresco entrare a un tratto
nel corpo del mio gatto,
del mio gatto siamese,
dal muso nero e gli occhi di turchese,
che passa tutto il giorno
ad acciuffar le mosche
che gli ronzano intorno.
Perché dentro le mosche prigioniere,
ci stan l' anime perse dei noiosi
che turbarono sempre i miei riposi.
Ah che rara fortuna, oh che piacere
dar la caccia alle mosche dopo morto!
Spero che Dio, supremo giustiziere,
se ne ricordi e non mi faccia torto.